Impagliazzo, Sant’Egidio: l’Ucraina ha diritto alla legittima difesa

I corridoi umanitari coinvolgono, da qualche giorno, anche la Francia e il Belgio, dove la Comunità di Sant'Egidio sta facendo arrivare persone rifugiate dalle guerre. Il presidente Marco Impagliazzo parla dell'importanza di riportare la pace in Ucraina, Paese che, sottolinea, ha il diritto di difendersi dall'aggressione della Russia. Pubblichiamo il suo intervento, che si inserisce nel dibattito sul ruolo dei cristiani in questa guerra.
Marco Impagliazzo, foto Aci Stampa
Marco Impagliazzo, foto Aci Stampa

«Viviamo in un mondo in cui le guerre si iniziano e non si concludono e questo è anche lo scenario drammatico che abbiamo davanti agli occhi in Ucraina, perché si conquistano metri, chilometri, di territorio ma siamo sempre lì: nessuno vince, nessuno perde, tutti perdono, con migliaia di morti e le distruzioni ambientali che stiamo vedendo. La missione che papa Francesco ha affidato al cardinale Zuppi serve per dire una parola diversa di fronte a un mondo in cui le guerre iniziano e non finiscono più: pensiamo alla Siria, con oltre un decennio di guerra, milioni di persone che devono scappare, migliaia di morti, distruzioni» di città e tutto questo si ripercuote alla fine anche sui nostri Paesi. Per Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, i cristiani dovrebbero pregare e chiedere a gran voce la pace. Questo, però, non significa non aiutare, anche dal punto di vista militare, l’Ucraina.

Intervenuto nel corso della decima edizione del Meeting nazionale dei giornalisti di Grottammare, Impagliazzo ha spiegato che inviare oppure no le armi in Ucraina è una «domanda lacerante per tutti noi, per chi è cristiano, ma anche per chi non lo è. Io credo che l’Ucraina ha diritto ad una legittima difesa: è un Paese aggredito, ha diritto a cercare Paesi che sostengano con le armi le sue domande, soprattutto perché gli ucraini sono di fronte ad una potenza nucleare quale è la Russia».

Per noi cristiani, aggiunge il presidente della Comunità di Sant’Egidio, «questo è un problema molto serio, anche se riconosciamo il diritto alla legittima difesa ucraina, quindi che questo popolo venga armato. Dobbiamo però dire che non si è fatto altro, finora, che parlare di armi: c’è stato un piano di pace cinese che ancora non si sa se è stato rigettato dalla comunità internazionale – praticamente sì -, e l’unica voce che ha chiesto di fermare la guerra e che ha fatto qualcosa di concreto è stata quella del papa. Questo lo dobbiamo riconoscere».

Noi cristiani, aggiunge Impagliazzo, «dobbiamo pregare per la pace, perché la preghiera per la pace è la prima vittoria contro la guerra. In secondo luogo abbiamo la responsabilità di essere più solidali da un punto di vista umanitario con il popolo ucraino. Lo siamo stati accogliendo i rifugiati a migliaia in Italia e a milioni in Europa, ma dobbiamo esserlo ancora di più con gli ucraini che sono rimasti nel Paese». Gli aiuti umanitari stanno diminuendo, ma la guerra continua e le povertà crescono e ci sono cinque milioni e mezzo di ucraini sfollati che hanno lasciato le loro case e sono ospiti di altri ucraini in altre città dell’Ucraina.

«Che cosa stiamo facendo dal punto di vista umanitario? Questa – ha chiesto Impagliazzo – è anche un’altra domanda che mi faccio come cristiano: qual è il modo per aiutare gli ucraini a resistere a questa guerra, come aiutarli umanitariamente. Poi bisognerebbe chiedere a gran voce che le diplomazie tirino fuori tutte le loro capacità per arrivare almeno ad un cessate il fuoco, come dice il cardinale Zuppi, e a una pace giusta. Poi si dovrà capire cosa significa “pace giusta”. Ma cosa si è fatto per la pace? Questa è un’altra domanda lacerante. Si è fatto troppo poco anche perché forse noi cristiani abbiamo parlato troppo poco di pace. Però la resistenza degli ucraini va aiutata: da un punto di vista umanitario c’è tanto e tanto bisogno».

Intanto, continua l’impegno della Comunità di Sant’Egidio per mettere in salvo tanti rifugiati dai Paesi in guerra grazie ai cosiddetti “corridoi umanitari”, che sono stati avviati, nei giorni scorsi, anche in Francia e in Belgio. Un lavoro, dunque, che nel silenzio continua e si allarga all’Europa, cercando di renderla più solidale, costruendo “pezzi” di pace, di solidarietà e facendo emergere i tanti che sono disposti e felici di accogliere coloro che provengono da situazioni difficili e di guerra.

(Leggi qui altri interventi sull’uso delle armi in Ucraina e sul dibattito in corso)

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