Immorale possedere armi atomiche
È ormai buio quando papa Francesco arriva al Memoriale della Pace di Hiroshima in questa sua seconda giornata giapponese, dedicata soprattutto alla questione del nucleare. Il Giappone è il pulpito ideale per un monito al riguardo che sta profondamente a cuore del papa. Siamo, infatti, nella terra che è stata martoriata da quelle bombe che, nell’agosto del 1945, hanno mietuto migliaia di vittime e non sono poche le autorità religiose del Giappone che da anni si spendono a favore della de-nuclearizzazione.
L’ambiente è fortemente simbolico e suggestivo. Il bianco dell’abito di Francesco risalta nel buio della notte, insieme all’Arco, anch’esso bianco, costruito nel 1964 e posto al centro di questo parco che comprende anche un museo. Sullo sfondo appare la sagoma spettrale della Cupola (Dome) Gebaku. È quel che resta di un edificio industriale, costruito nel 1915. Rimane ancora come era rimasto dopo lo scoppio nucleare, di cui è diventato il simbolo.
L’Arco, invece, riporta incise parole significative: «Possano tutte le anime riposare in pace affinché noi non ripetiamo lo stesso errore». È proprio questo il motivo che conclude le due testimonianze di sopravvissuti a quell’esperienza allucinante del 6 agosto 1945. Yoshiko Kajimoto, dopo aver descritto nei particolari quanto vissuto in quei momenti e nei giorni successivi, chiude la sua esperienza di vita con queste parole: «Lavoro duro per testimoniare che non dobbiamo mai più usare tali terribili bombe atomiche né permettere che nessuno al mondo debba sopportare tale sofferenza». Anche Koji Hosokawa, che non può essere presente, probabilmente per la salute instabile, ha voluto concludere la sua esperienza personale con parole simili. «Sebbene mi rimane poco tempo, credo che trasmettere l’esperienza di Hiroshima alle nuove generazioni sia l’ultima missione che è stata affidata a quanti siamo sopravvissuti ad essa».
Entrambi fra i pochi ancora viventi di quelli che sperimentarono quel momento allucinante e i giorni successivi. Sono testimoni di quell’esperienza che papa Francesco sintetizza in modo magistrale aprendo il suo intervento: «Qui, di tanti uomini e donne, dei loro sogni e speranze, in mezzo a un bagliore di folgore e fuoco, non è rimasto altro che ombra e silenzio. Appena un istante, tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e morte. Da quell’abisso di silenzio, ancora oggi si continua ad ascoltare il forte grido di coloro che non sono più».
Francesco si è fatto ‘pellegrino di pace’, afferma in un silenzio ‘assordante’. È quello che ha scritto anche sul Libro d’onore che ha firmato poco prima. Non si tratta di un messaggio contro il nucleare, come lo ha espresso poche ore addietro a Nagasaki. Qui a Hiroshima il papa argentino parla al cuore dei presenti e del mondo senza mezzi termini. «Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune». Questa volta il papa fa un passo in più e si rivolge a tutti coloro che posseggono armi nucleari. «Non solo l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, […] allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche». Quest’ultima frase Francesco la pronuncia a braccio. Non si trova nel testo scritto fatto circolare fra i giornalisti in precedenza. Bergoglio afferma con decisione che saranno le generazioni future a giudicarci su questo.
Passa, poi, a parlare della pace e, come spesso ama fare, la fonda su tre aspetti essenziali ed imprescindibili: giustizia, carità e libertà. «Sono convinto – afferma richiamandosi alla Pacem in Terris – che la pace non è più di un “suono di parole” se non si fonda sulla verità, se non si costruisce secondo la giustizia, se non è vivificata e completata dalla carità e se non si realizza nella libertà». È cosciente Francesco che non è facile essere costruttori di pace, di fronte alle differenze che caratterizzano il genere umano, ma questo «non potrà mai giustificare l’intento di imporre agli altri i propri interessi particolari».
Come esseri umani, siamo chiamati a rispettarci non a dominare l’uno sull’altro. Le stesse comunità statali, afferma il papa, «legittimamente possono differire tra loro nel grado di cultura o di sviluppo economico, ma sono chiamate a impegnarsi a lavorare “per la comune ascesa”, per il bene di tutti». La differenza, quindi, è un diritto e non la si può invocare come giustificazione alla guerra, tanto meno quella atomica. La via della pace, inoltre, chiede che «le armi cadano dalle nostre mani», non possiamo consegnarci alla loro logica. E’ un esercizio lungo e difficile ed è un edificio da costruire continuamente. Sembra di sentire le parole di Giovanni Paolo II che amava definire la pace come un ‘cantiere’.
Infine, aspetto fondamentale per la pace futura, è la memoria del passato. «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno; […] una memoria viva che aiuti a dire di generazione in generazione: mai più!». Qui l’eco è quello del famoso grido di Paolo VI all’Onu: «Mai più la guerra», ripetuto tre volte. Bergoglio invita tutti a ‘camminare uniti’, «con uno sguardo di comprensione e di perdono, aprendo l’orizzonte alla speranza e portando un raggio di luce in mezzo alle numerose nubi che oggi oscurano il cielo. Apriamoci alla speranza, diventando strumenti di riconciliazione e di pace».
È un invito a tutto il mondo. Qui a Hiroshima come a Nagasaki ci si rende conto della fragilità dell’essere umano e del creato in generale. E Bergoglio, forse per questo, ha desiderato parlare di pace ad ogni costo puntando il dito non solo verso coloro che fanno uso del nucleare per fini bellici, ma anche verso coloro che lo possiedono. Nel silenzio si diffondono le note dell’ultima commovente canzone – come spesso sono i motivi giapponesi – che accompagna il commiato di un momento di grande sobrietà ma forte ed incisivo come pochi. Ancora una serie di inchini di fronte al gruppo dei sopravvissuti e gli sguardi di questi anziani che hanno visto ‘quel bagliore apocalittico’ accompagnano il papa che con passo stanco si allontana. Si conclude una giornata che Bergoglio ha desiderato per sintetizzare la necessità di una pace vera fra tutti gli uomini e le donne della terra.