Immigrazione: uno sguardo in filigrana

Il dibattito relativo ai flussi migratori è concentrato su alcuni punti politicamente ed ideologicamente sensibili, che per questo motivo vengono amplificati ed occupano tutto lo spazio pubblico sul tema. In realtà vi sono aspetti meno noti ed in parte sorprendenti che possono favorire una visione più serena del fenomeno.
Foto Pexels

Un’interessante sintesi fatta dall’associazione Arcobaleno di Milano evidenzia come al 2023 siano 5.300.000 gli stranieri regolari residenti in Italia, pari al 9% della popolazione totale, che salgono al 12% se si considerano i nuovi cittadini italiani (1.750.000) e gli irregolari stimati (450.000), questi ultimi per la maggior parte occupati “in nero”, in edilizia, agricoltura, servizi domestici da datori di lavoro italiani.

Nel 2022 l’Italia è stato il primo Paese europeo per numero di cittadinanze rilasciate a cittadini di origine straniera, circa 214.000. Nel 2023 sono state 200.000, di più ha fatto solo la Spagna con 240.000 cittadinanze (dati del Viminale). 38 mila “nuovi italiani” sono originari dell’Albania, 31 mila del Marocco, 16 mila della Romania. Al quarto posto il Brasile, 11 mila, e a seguire India, Bangladesh e Pakistan. La loro età media è di 31 anni contro i 48 della media nazionale.

I numeri rivelano il consistente fenomeno delle acquisizioni di cittadinanza che, al di là delle discussioni su ius soli, scholae, culturae avvengono in modo consistente già oggi, secondo la legge in vigore, con un continuo movimento di inclusione, favorito da un tessuto sociale aperto all’accoglienza e a corpi intermedi: la scuola, il terzo settore, il mondo del lavoro, nei quali l’integrazione si realizza.

Va notato che negli ultimi anni l’immigrazione compensa numericamente in modo molto rilevante, talvolta completa il calo della componente autoctona della società, dovuto al saldo naturale tra nascite e morti negativo e alla emigrazione giovanile.

Alla fine risulta abbastanza sterile discutere se gli immigrati sono troppi o se sono pochi, è evidente che la mobilità delle persone avviene e la società multietnica è una realtà in crescita. Questo non vuol dire che non ci debbano essere regole ai flussi migratori, cosa doverosa e costitutiva di uno stato di diritto, e attenzione ai fenomeni di degrado e malvivenza, che però – va sottolineato – interessano una parte percentualmente minimale degli stranieri residenti.

L’analisi della associazione Arcobaleno prosegue con una foto del Comune di Milano, che vede 300.000 immigrati regolari, 70.000 nuovi cittadini e 30.000 stranieri irregolari stimati. In totale circa 400.000 persone con background migratorio, cioè il 28 % del totale. Le comunità più numerose sono gli egiziani (45.000), i filippini (39.000) e i cinesi (37.000), a seguire con numeri più bassi Sri Lanka, Perù, Romania, Bangladesh ed Ecuador.

Si evidenzia quindi che a Milano la componente con background migratorio è quasi tripla rispetto alla media nazionale. Questo porta la città ad essere un significativo laboratorio di pluralismo culturale, sociale, religioso.

Un crogiolo di etnie di cui si ha una rappresentazione plastica nell’ora di punta, sulle banchine e sui vagoni della metropolitana, quando puoi trovarti stretto fra la signora con l’hijab, la suora, il ragazzo dalla pelle nera, l’uomo col kippah e questo, per una parte crescente e maggioritaria delle persone, non disturba, è normale esperienza quotidiana.

Milano cresce e si consolida grazie al contributo economico di lavoratori autonomi e dipendenti di origine straniera. Ad esempio, il 50% delle 20.000 imprese artigiane ha un titolare con passato migratorio.

Un atteggiamento aperto e di dialogo nelle istituzioni e nei partiti politici è necessario per arrivare a normative e prassi che contemperino la solidarietà, la sicurezza, i diritti del migrante, del profugo, del rifugiato insieme a quello dello Stato di stabilire i flussi di ingresso sul proprio territorio secondo criteri economici, giuridici, geopolitici.

Temi complessi e articolati che non si possono affrontare con slogan ma richiedono quella politica come “amore degli amori” vista da Chiara Lubich nel fondare il Movimento Politico per l’Unità e un ideale di Mondo Unito – per essere prima fratelli e poi cittadini di una nazione.

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