Immigrazione, questione aperta

I pareri sono diversi, mentre cresce lo scontro politico. Il punto di vista di Natale Forlani, consigliere scientifico per il Welfare della Fondazione Magna Carta e già direttore generale sull’immigrazione del ministero del Lavoro

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Come registriamo ogni giorno, le polemiche intorno alla questione migratoria sono destinate a crescere nel nostro Paese. Ne abbiamo parlato con Natale Forlani, consigliere scientifico della Fondazione Magna Carta, per registrare il parere che arriva da chi è stato prima segretario confederale della Cisl, e poi dal 2010 al 2012, direttore generale dell’Immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Cerchiamo di mettere in evidenza, infatti, alcuni nodi problematici che danno luogo a giudizi divergenti. Un esempio su tutti, l’operazione italiana, militare e umanitaria Mare Nostrum, partita il 18 ottobre 2013, in seguito al tragico naufragio che provocò 366 vittime davanti l’isola di Lampedusa. Intervento preso come esempio da molte associazioni umanitarie.

Ma il primo dato che emerge è quello della percezione di timore verso il fenomeno delle migrazioni presentato come crescente e incontrollabile.

Esiste davvero, a suo giudizio, il pericolo di invasione dalle zone problematiche del Pianeta e in particolare dalla vicina Africa in forte crescita demografica?

Personalmente credo che questo rischio sia sopravvalutato per diverse ragioni. Ad esempio, bisogna tener presente che la fuoriuscita dalle condizioni di povertà assoluta, che attenua l’emigrazione, avviene principalmente con lo sviluppo locale dei Paesi poveri. E questo è avvenuto anche, e direi soprattutto nell’epoca della globalizzazione, dove in soli 20 anni si è dimezzata la quota delle persone in condizioni di povertà assoluta.

Un’altra ragione, anch’essa confortata dai dati a disposizione, è che il fenomeno migratorio riguarda soprattutto le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, perché il progetto migratorio costa e l’investimento delle famiglie deriva inevitabilmente da risparmi impiegati in vista di un possibile ritorno in termini di rimesse. La crescita delle famiglie che risparmiano, e che possono consentirsi di investire su un progetto migratorio di un genitore o di un figlio, avviene soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, e da cui, non casualmente, proviene la quasi totalità degli immigrati regolarmente residenti in Italia. I movimenti migratori più preoccupanti, quelli derivanti da cause belliche o da catastrofi climatiche, si sviluppano soprattutto verso i territori limitrofi. Ma sono derivanti da condizioni imprevedibili e dovrebbero essere comunque governati da organizzazioni internazionali.

MARE NOSTRUM OPERATION - RESCUE MIGRANTS

Cosa pensa dell’operazione Mare Nostrum operata dal governo Letta? Cosa ha sbagliato l’Italia nei rapporti con i nostri partner europei?

Mare Nostrum è stata, a mio parere, una operazione sbagliata. In primo luogo perché le operazioni di contrasto e di salvataggio in acque internazionali devono essere fatte da organizzazioni internazionali e non in via unilaterale. Nel caso specifico si è scelto di spostare le operazioni di salvataggio, per scelta italiana, a ridosso delle acque territoriali libiche, di fatto precostituendo una impropria sponda agli organizzatori delle tratte che, infatti, hanno aumentato gli imbarchi su mezzi sempre più inadeguati.

In tal modo si è fatta, inoltre, una narrazione sbagliata del fenomeno. Il flusso degli immigrati irregolari verso l’Italia non proveniva, per la stragrande parte, dalle zone di conflitto bellico, bensì dalle nazioni del Centro Africa. La frontiera di contenimento doveva semmai spostarsi verso il territorio a Sud della Libia. Quando questo è avvenuto, purtroppo con colpevole ritardo, i flussi sono diminuiti radicalmente. Il terzo errore è da collegare alla oggettiva improvvisazione della fase di accoglienza, caratterizzata da un soverchiante numero di immigrati che non venivano identificati, e che rifluivano verso i Paesi del Centro e Nord Europa. Noi accusavamo le istituzioni europee di averci lasciati soli, ma gli altri paesi della Ue ci rimproveravano di aver scaricato i problemi verso i loro territori.

Qual è il limite alla capacità di accoglienza in Italia e in Europa?

La sostenibilità dei flussi migratori è, per ragioni ovvie, da collegare alle esigenze del mercato del lavoro. È del tutto evidente che, se le tendenze demografiche sono negative, dato che la bassa natalità si rifletterà sulla entità della popolazione in età di lavoro, si presenterà un fabbisogno di nuovi flussi migratori. Ma nel breve periodo in Italia dobbiamo riassorbire nel mercato del lavoro circa 4 milioni di disoccupati o di inattivi disponibili a lavorare.

Ritiene opportuni e coerenti gli accordi stretti con Libia e Turchia per frenare il flusso dei migranti in partenza?  

Di certo non esiste una solida strategia europea di cooperazione con i Paesi africani. Gli accordi con la Turchia e quelli, meno solidi, con la Libia sono di carattere emergenziale. Questo è il vero aspetto sul quale concentrare gli investimenti futuri.

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Si può fare ed è giusta una distinzione tra rifugiati, da accogliere, e migranti economici?

Certo che va fatta, e non solo perché lo prescrive il diritto internazionale. Senza questa distinzione, viene meno la chiarezza tra quello che è necessario fare, al di là dei vincoli economici, per far fronte ad emergenze umanitarie, e quello che è possibile programmare per gestire una immigrazione sostenibile, soprattutto in relazione alle problematiche del mercato del lavoro. E se viene meno, si creano e si determinano le condizioni per esasperare i conflitti sociali in tema di immigrazione.

In questo modo andrebbero rimandati indietro, ma, a prescindere dal merito, non è anche molto difficile far rimpatriare gli immigrati ai quali non è stato riconosciuto il permesso di protezione internazionale?

Il problema è molto serio perché il rimpatrio presuppone un riconoscimento della cittadinanza degli interessati da parte dei Paesi di origine, che difficilmente avviene in assenza di accordi di cooperazione. Allo stato attuale sta funzionando la strategia adottata di scoraggiare i nuovi ingressi, molto meno quella dei rimpatri perché l’Italia ha sinora sottoscritto pochi accordi di cooperazione, ma che coinvolgono Paesi che non hanno una grande rilevanza nei recenti flussi di irregolari, e alcune intese, con la Libia e il Niger ad esempio, rivolte a contrastare l’avvio di nuovi flussi ma non funzionano sul versante dei rimpatri. Credo che questo problema nel lungo periodo richieda un potenziamento degli accordi internazionali, ma sul breve, a riguardo delle persone illegalmente presenti nel territorio nazionale, deve essere affrontato incentivando i rimpatri volontari e integrando ragionevolmente le persone che si sono già inserite nel mercato del lavoro.

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