Immigrazione, accordi con la Libia. I dubbi restano

La denuncia e gli appelli del Consiglio italiano per i rifugiati, di Amnesty International, dei giuristi dell’immigrazione e dei missionari gesuiti
Migranti a Lampedusa

Mentre iniziano ad arrivare, come previsto, le notizie dei primi profughi della disperazione che perdono la vita nel mar Mediterraneo, occorre tener presente una questione fondamentale che coinvolge direttamente l’Italia. Si tratta dell'accordo italo-libico sul contrasto delle migrazioni irregolari, firmato a Tripoli 3 aprile 2012.

Da fonti della documentatissima stampa missionaria, come la rivista “Popoli” dei gesuiti, è arrivata la denuncia sul profilo volutamente «bassissimo» riservato al contenuto dell’intesa dai due governi che si sarebbero, invece, limitati a confermare la sostanza del trattato stipulato, nel 2008, dai precedenti esecutivi di Gheddafi e Berlusconi.

Quell’accordo, celebrato con  fastose e surreali cerimonie di rinnovata amicizia tra i due Paesi, serviva, in realtà, secondo un’indagine di quell’anno pubblicata da “Popoli”, a coprire uno scambio commerciale, comprese la fornitura di armi, consumato «sulla pelle dei migranti».

Anche dopo la guerra che ha cambiato i vertici del Paese nordafricano, verrebbero confermate, perciò, secondo la rivista dei gesuiti, «le vecchie intese sui respingimenti in mare: una pratica che il 23 febbraio 2012 è stata messa sotto accusa dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha condannato il nostro Paese a pene severe per un respingimento in mare di 24 persone avvenuto nel 2009». Nel testo dell’accordo, reso noto solo a fine giugno, esisterebbe la disponibilità italiana a dotare la Libia di «mezzi tecnici e attrezzature, atti a rafforzare la sorveglianza delle frontiere libiche», secondo i missionari si andrebbe oltre l’assistenza per la creazione di una barriera elettronica per il controllo della frontiera, per assicurare la «fornitura di mezzi (elicotteri, fuoristrada, ecc.) per contrastare i flussi migratori». Una sorta di esternalizzazione della sicurezza.
 
Anche l’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) nella giornata Onu dedicata ai rifugiati, ha ricordato al governo italiano che la Libia «non ha ancora sottoscritto la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e che nel complesso è tuttora un Paese nel quale la tutela dei diritti fondamentali appare ancora assente, come ribadito recentemente da autorevoli rapporti». Per queste ragioni, secondo l’Asgi, non esisterebbero le condizioni «in base alle quali l'Italia possa sostenere finanziariamente e tecnicamente la Libia nel “controllo dei flussi di immigrazione clandestina”, verso l’Europa e l’Italia, come è stato fatto in passato dal governo italiano, con danni gravissimi in termini di violenze inflitte a migliaia di esseri umani arrestati e deportati dalla polizia libica».

Il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), accogliendo «con dolore e rabbia» la notizia delle 54 persone partite dalla Libia e inghiottite dal mare, ha ribadito di aver chiesto «al governo Monti chiarezza sui contenuti dell’accordo siglato con la Libia del dopo Gheddafi: troppi punti ci paiono oscuri e non abbiamo certezze che sulla base di questo patto non possano riprendere i respingimenti congiunti verso la Libia».

Anche Amnesty International ha ribadito che gli accordi del 3 aprile 2012 «non contengono alcuna salvaguardia concreta per i diritti umani né meccanismi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati» e pertanto ha rivolto un appello diretto al ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, producendo un approfondito dossier (Sos Europe) sul «costo umano del controllo dell’immigrazione». 

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