Immigrati marocchini, un ponte verso il Mediterraneo
«Il marocchino non dice mai di no, dice di sì sorridendo. Quando aggiunge «Inshallàh» (se Dio vorrà), significa che declina gran parte delle responsabilità qualora non mantenesse la parola data. Il marocchino sorride spesso e non vuole farti arrabbiare. Il marocchino ama che si ami il suo Paese. Il marocchino critica il suo Paese, ma non sopporta che uno straniero faccia lo stesso». Così, e con molte altre saporite espressioni, la Comunità marocchina Italia tratteggia la propria fisionomia sulla sua pagina Facebook.
Ma sulla comunità marocchina in Italia c’è molto da dire. A Roma, nella Sala stampa estera, è stato presentato il volume “La comunità marocchina in Italia. Un ponte sul Mediterraneo" (La communauté marocaine en Italie. Un pont sur la Méditerranée), una ricerca con duplice prospettiva. Si è parlato molto del Marocco e dei marocchini, ma anche molto dell’Italia. Il ministero degli Esteri di Rabat ha commissionato la ricerca alla Idos (Centro studi e ricerche Immigrazione dossier statistico), mentre l’ambasciata del Marocco si è fatta carico della stampa. A presiedere infatti il tavolo dei relatori era S. E. Hassan Abouyoub, ambasciatore del Regno del Marocco. Rappresentato bene il governo italiano attraverso il vice-ministro del Lavoro Cecilia Guerra, che ha curato la prefazione, e il vice-prefetto del ministero dell’Interno Carmelita Ammendola. Intervenute altre voci autorevoli, tra cui il presidente dell’Istat Antonio Golini e il direttore generale dell’Immigrazione Natale Forlani. Atteso da tutti, ma impossibilitato all’ultimo momento, padre Giulio Albanese, direttore di Popoli e Missione, a cui erano affidate le conclusioni.
L’obiettivo della presentazione però è stato raggiunto: conoscere il volto poco noto della comunità marocchina insediata in Italia, fornendo molte notizie sia sul Paese di origine che su quello di accoglienza. Infatti i numeri parlano da sé. Sono circa 3 milioni i marocchini presenti nell’Unione europea, la comunità più numerosa dopo quella turca, di cui oltre mezzo milione sono insediati in Italia.
L’immigrazione marocchina nel “Bel Paese” ha avuto inizio negli anni Settanta, ma nel periodo dal 2001 al 2012 ha avuto un incremento di 346.040 persone. Una storia quarantennale, che ha visto arrivare prima manovali nell’industria e nell'agricoltura e venditori ambulanti, poi lavoratori provenienti dalle città, e infine mogli e figli. Il risultato oggi è quello di un insediamento stabile e in continuo aumento.
Con i suoi 513.374 membri la comunità marocchina è la prima comunità di immigrati non comunitari e rappresenta il 10 per cento della presenza straniera in Italia. Più dei due terzi si trovano in Veneto, Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia. Molto più ridotta la loro presenza al Sud, a eccezione di Reggio Calabria.
Non sono mancati i flussi irregolari, di gran lunga superiori alle quote annuali attribuite negli ultimi decreti. E non bisogna dimenticare le migliaia di marocchini morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Nello scenario attuale, ai flussi in arrivo devono aggiungersi i flussi di ritorno al Paese di origine di coloro che sono stati raggiunti da un provvedimento di espulsione, o di coloro che, perso il posto di lavoro, non ne hanno trovato un altro nel termine di 12 mesi.
Nel panorama generale, comunque, i marocchini sono andati affermandosi come una comunità dedita al lavoro, portata al commercio, dalla spiccata dimensione familiare e fortemente stabile (oltre il 64,1 per cento è titolare di un permesso di soggiorno a lungo termine). In tutti questi anni il Marocco è il primo Paese per numero di visti per ricongiungimento familiare. La presenza delle donne incide, attualmente, per il 43,7 per cento sul totale e il tasso di natalità è elevato: 14.622 i nuovi nati nel 2011, di cui 12.608 da entrambi i genitori marocchini. L’incidenza dei minori è tra le più elevate (30,8 per cento). I matrimoni misti nel periodo 1992-2011 sono stati 350 mila, più del 10 per cento dei celebrati in Italia, a cui aggiungere i circa 25 mila tra cittadini marocchini.
La forza lavoro marocchina è costituita da circa 300 mila persone, di cui almeno la metà occupata nel settore dei servizi, nell'industria e nell'agricoltura. Questa comunità sta dimostrando un particolare dinamismo imprenditoriale, così che nel 2012 i marocchini titolari di impresa individuale hanno inciso per un sesto sull’insieme delle imprese intestate a cittadini stranieri. Non così incisivo, invece, il bilancio culturale che, se può lasciare soddisfatti per frequenza scolastica, non lo è per frequenza universitaria.
Delicate implicazioni si pongono sul piano socio-culturale e religioso, a partire dalla questione dei luoghi di culto, generalmente condivisi con musulmani di altri Paesi. L’associazionismo marocchino infatti ha sottolineato l’esigenza di favorire la costruzione di nuovi edifici o un soddisfacente adattamento di quelli esistenti per assicurare una dignitosa espressione rituale della loro religiosità.
Le seconde generazioni sono il volto nuovo e poco conosciuto dei giovani marocchini. Il loro desiderio è quello di integrarsi nella cultura italiana senza perdere quella propria, con una doppia appartenenza reale. Interessante nelle ragazze la tendenza all’uso volontario del velo come espressione di identità. Da rilevare che ancora oggi, cittadini di origine marocchina continuano a essere vittime di comportamenti razzisti e discriminatori.
I dati lasciano intendere che la comunità marocchina aumenterà nei prossimi anni. Ed è tesi del presente libro che si tratta di un fenomeno migratorio che può risultare un efficace ponte sul Mediterraneo. Gli immigrati potranno diventare mediatori di scambi sempre più intensi, con positive implicazioni sociali, religiose e anche commerciali e industriali. Alcuni progetti presentati vanno già in questo senso, ma non è che l’inizio.