Ilva, i lavoratori scrivono al governo
La giornata di passione dei mille lavoratori dell’Ilva con la manifestazione che li ha visti sfilare per le vie della città al grido di «L’accordo di programma non si tocca», accompagnati dai rappresentanti di quasi tutte le forze politiche e diversi candidati sindaco, s’è conclusa con una precisa richiesta: che il prima possibile avvenga un incontro con tutti i firmatari dell’accordo di programma, per confermare gli impegni previsti all’interno della trattativa in corso per la cessione di Ilva, e conoscere nel dettaglio il piano industriale e le sue ricadute sul territorio genovese, di cui a oggi le istituzioni locali non hanno avuto alcuna comunicazione. Queste richieste sono state formalizzate una lettera indirizzata alla presidenza del Consiglio dei ministri stilata durante l’incontro in prefettura a Genova tra le rappresentanze sindacali e le istituzioni locali, e firmata da tutti i soggetti che nel 2005 avevano sottoscritto l’accordo di programma (che modificava una precedente intesa risalente al 1999): Regione, Comune, Prefettura, Autorità portuale e organizzazioni sindacali.
Nello stabilimento di Cornigliano attualmente lavorano 1500 operai, di cui 380 in cassa integrazione. Il loro reddito, proprio grazie all’accordo di programma che in cambio della chiusura degli impianti a caldo garantiva occupazione e salario, viene integrato dai lavori di pubblica utilità. «Chiediamo un incontro urgente per confermare quell’accordo e vedere come farlo incastrare con la vendita – ha detto al termine dell’incontro il segretario della Fiom di Genova Bruno Manganaro –. Confermare quell’accordo per noi vuol dire un milione di metri quadrati di aree, 50 anni di concessioni, finire gli investimenti in particolare sulla banda stagnata spendendo molto di più di quello che ha intenzione di spendere Mittal, e confermare tutti gli organici oggi presenti all’interno dell’Ilva di Genova». «È chiaro che Genova – ha aggiunto il segretario della Uilm Antonio Apa – ha una sua sussistenza e una sua autonomia, a patto che vengano rilanciati gli investimenti. Il piano industriale che hanno presentato fa acqua da tutte le parti: ma noi siamo in grado di dimostrare nella trattativa che, se viene rilanciato, il sito di Genova è in grado anche di camminare da solo». «Gli investimenti previsti dalle dieci pagine di piano industriale che abbiamo visto e che ora vogliamo conoscere nei dettagli – ha aggiunto Alessandro Vella della Fim Cisl – non darebbero la possibilità di reintegrare le persone che oggi sono in cassa, e quindi abbiamo un problema nel problema». La lettera verrà inviata al Governo nelle prossime ore. «Attenderemo che arrivi la convocazione – ha detto Manganaro, rivolto ai lavoratori in presidio fuori dal palazzo della Prefettura –. Se arriverà, andremo a discutere in quella sede; in caso contrario, torneremo in piazza».
È tutta la comunità genovese a chiedere un incontro urgente su una situazione nuova che si sta creando, ha detto il sindaco di Genova Marco Doria. «Ci sono dei piani industriali che vogliamo vedere e un accordo di programma vigente – ha aggiunto –. Chiediamo di convocare urgentemente a Roma un incontro con tutti i firmatari di quell’accordo, che per noi è il punto di partenza». Per il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, «la siderurgia è strategica per lo sviluppo industriale. Vediamo quale atteggiamento hanno altri Paesi nei confronti dell’espansione di imprese italiane sul loro territorio nazionale: e in questo caso credo che ci sia solo non solo motivo di orgoglio nazionale per salvare un’azienda importante come Ilva, ma anche motivi profondi di stategicità del settore della siderurgia a sostegno del comparto industriale italiano». Il governatore ligure ha lamentato il fatto che fino ad ora «le istituzioni locali non sono state chiamate dal governo ad essere parte di questa trattativa. Vogliamo nel dettaglio conoscere cosa intendono fare di uno stabilimentosu cui in passato sono stati investiti parecchi soldi come quello di Cornigliano, che ancora oggi non ha trovato l’equilibrio previsto dai vecchi accordi sindacali».