Illegittimo il divieto della fecondazione eterologa
La Legge 40 che regolamenta l’accesso delle coppie con problemi di fertilità alla Procreazione medicalmente assistita (Pma), dopo 10 anni dalla sua promulgazione, continua ancora a far discutere.
L’occasione è la sentenza emessa nei giorni scorsi dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il divieto di utilizzo di gameti provenienti da soggetti esterni alla coppia.
Questo del divieto della fecondazione eterologa era uno degli ultimi “paletti” restrittivi presenti nella legge, ancora non rivisti da una sentenza della Corte Costituzionale che, in questi dieci anni è stata chiamata più volte a decidere sulla legittimità di altri divieti in essa contenuti e che avevano spinto le associazioni a favore di una totale liberalizzazione, a richiedere un referendum abrogativo, fallito nel 2005 per il non raggiungimento del “quorum” a causa della massiccia astensione dei cittadini al voto.
In quell’occasione, la stessa Conferenza episcopale italiana scese in campo, quasi a difesa della Legge, considerata un “male minore” per i netti limiti (accesso riservato alle coppie con diagnosi di sterilità; obbligo di non fecondare più di tre ovuli a tentativo, divieto della fecondazione eterologa; obbligo di impianto di tutti gli embrioni creati in vitro; divieto di crioconservazione degli embrioni…) che imponeva al ricorso alle tecniche di Pma.
La discussione parlamentare, come tutti sicuramente ricorderanno, fu molto accesa e si giunse all’approvazione della legge grazie ad una maggioranza di centrodestra molto coesa e determinata e con un apporto compatto dei parlamentari cattolici.
Purtroppo, anche se a distanza di anni, quando in Italia si affrontano tematiche “eticamente sensibili”, anche gli animi più calmi tendono a scaldarsi e molti sono sempre pronti a tirar su le barricate per dividere il mondo in amici e nemici.
È chiaro che quando si parla di procreazione è tutto il nostro mondo che viene in evidenza, i nostri riferimenti ideali, il nostro orizzonte valoriale di riferimento.
Chi considera la procreazione come il luogo dell’accoglienza, della gratuità e del dono della vita del figlio, si approccerà a questo ambito con “timore e tremore” e, in presenza di qualche difficoltà alla generazione o addirittura della sterilità, prenderà in considerazione solo quegli interventi medici che si pongano, appunto, come dei facilitatori del concepimento, che rimarrà però un evento naturale che si realizzerà nel corpo della madre con l’intervento del partner, che sarà anche il padre biologico del bambino.
Chi, invece, si avvicina all’evento generazione considerandolo un diritto, cercherà di ottenerlo utilizzando ogni possibile tecnica che la scienza sarà capace di mettere in campo e sarà disposto ad accettare la presenza determinante dei medici, il fatto che il concepimento del figlio avvenga fuori dal corpo della madre, la selezione degli embrioni e la possibilità della crioconservazione e, in alcuni casi, accetterà anche che questo figlio sia generato utilizzando il materiale biologico proveniente da un donatore esterno alla coppia.
Questa è la mentalità che sta dietro i ricorsi che hanno condotto i giudici (di cui ancora non si conoscono le motivazioni) a dichiarare, a guardare al problema solo dal punto di vista del diritto di accesso ad una tecnica.
È interessante, a questo proposito, vedere come è stata commentata la notizia del “successo” sul sito dell’Associazione Luca Coscioni, la promotrice del ricorso, in cui è evidente che quella che si mette in campo è una vera e propria battaglia per l’autodeterminazione e per la quale ogni limite è insopportabile: “Prossimo divieto da smantellare quello sulla ricerca sugli embrioni, che Luca Coscioni denunciò dall'inizio della propria lotta per la libertà di ricerca scientifica, e che fece nascere la nostra Associazione. Su questo ci auguriamo che domani il Parlamento non dia seguito alle richieste dei promotori della campagna "Embrione Uno di noi": e siamo pronti a breve con una disobbedienza civile su questo punto”.
Come è stato dichiarato dall’Associazione Scienza e Vita, che è nata proprio in occasione della Campagna a favore dell’astensione al referendum abrogativo, la Legge 40 probabilmente è “una normativa forse da rivedere dopo dieci anni, ma che ha avuto il merito di porre un quadro di riferimento scientifico ed etico in tema di procreazione assistita”. Da alcune sue limitazioni, come il divieto della crioconservazione degli embrioni, si è generato un filone di ricerca che sta aprendo sempre di più alla conservazione degli ovociti che non hanno, naturalmente, tutte le problematiche etiche legate, invece, agli embrioni.
La reintroduzione dell’eterologa ridimensionerà certo il cosiddetto “turismo procreativo” che ha portato in questi anni circa 4mila coppie l’anno a cercare all’estero il coronamento di questo “sogno di genitorialità”, ma porterà con sé anche qualche rischio in più di mercificazione del corpo, per la possibilità di compravendita di gameti da uomini e donne di Paesi poveri.
Una regolamentazione dell’utilizzo dei gameti sarà indispensabile, la possibilità, infatti, di avere tanti fratelli dallo stesso padre “donatore” si è già realizzata e recentemente se ne è parlato negli States dove si è giunti a raggruppare fino a 80 figli di un unico donatore con tutte le conseguenze “sociali” del caso.