Il welfare non è un lusso
Famiglie senza assistenza e operatori senza stipendio. Dopo le mobilitazioni dei lavoratori, il duro richiamo della Cei campana
«L’anno scorso, con 165 milioni di euro stanziati, eravamo già in difficoltà, con un livello di spesa sociale pro-capite di 32 euro, tra i più bassi d’Italia. Quest’anno, con la decisione della Regione Campania di tagliare le risorse in maniera drammatica, sono stati previsti in bilancio soltanto 13 milioni di euro, ai quali si aggiungeranno 22 milioni dal Fondo sociale nazionale, per un totale di 35 milioni. Se la Regione non tornerà sui suoi passi, dalla situazione di collasso in cui ci troviamo, si finirà per distruggere completamente quel poco di buono che era stato realizzato in tanti anni di lavoro con una fatica immane, dissipando competenze pregiate e abbandonando decine di migliaia di famiglie».
Non nasconde l’amarezza, Sergio D’Angelo, presidente del gruppo di imprese sociali Gesco e portavoce del comitato “Il welfare non è un lusso”, che riunisce circa 200 tra cooperative e associazioni, e da mesi si sta mobilitando per cercare di ottenere pagamenti arretrati da oltre tre anni e garantire i livelli di assistenza ad anziani, disabili, bambini e tossicodipendenti.
Finora, hanno provato di tutto: uno sciopero della fame collettivo, un corteo funebre per celebrare “la morte della politica”, manifestazioni di protesta nel Museo Archeologico, nella sede comunale di Palazzo San Giacomo e a Palazzo reale e, da qualche settimana, l’occupazione di uno dei monumenti simbolo di Napoli, il Maschio Angioino, nonché (dallo scorso dicembre) dell’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi.
Gli operatori sociali ormai sono allo stremo. Molte cooperative hanno già chiuso per fallimento, altre sono sull’orlo del baratro. Una situazione di disagio che ha provocato la dura protesta della conferenza episcopale campana, presieduta dall’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe.
Nel documento diramato nei giorni scorsi, i vescovi campani, riuniti a Pompei, hanno scritto che «lo stato di privazione dei diritti di sopravvivenza, cura e tutela nel quale si trovano decine di migliaia di cittadini “utenti” dei servizi, ci interpella fortemente. Siamo preoccupati per i più deboli. Ci chiediamo: chi si prenderà cura di loro? Siamo, altresì, preoccupati per quanti sono impegnati nei servizi sociali e rivendicano il loro sacrosanto diritto alla giusta remunerazione».
Non è mancato un forte richiamo alle istituzioni. «Mentre la Regione Campania, il Comune di Napoli, gli altri Comuni della regione e le Asl – hanno aggiunto i vescovi – si rimbalzano la responsabilità e manifestano l’incapacità o la mancata volontà di lavorare insieme per il bene comune, a pagare sono i più poveri. Non intendiamo entrare in merito alle ragioni dell’una o dell’altra istituzione: constatiamo, semplicemente, che, mentre si discute, molti servizi sono chiusi o stanno chiudendo e le persone più deboli ritornano nelle strade; molte comunità per minori chiudono; gli operatori sociali impegnati in tali servizi non percepiscono da mesi uno stipendio; sono già circa duemila gli operatori sociali senza lavoro per questo motivo».
Secondo i vescovi, per far fronte ad una crisi che ha assunto dimensioni spaventose, c’è bisogno di «un dialogo costruttivo per individuare azioni precise di uscita dall’emergenza economica del settore e concrete opportunità di soluzione della crisi del settore socio-assistenziale».
L’amministrazione comunale di Napoli, spiega D’angelo, aveva assicurato almeno il pagamento di una tranche del debito accumulato: 34 milioni di euro, circa il 40 per cento del dovuto, da versare grazie ad un’operazione di cessione del debito.
Tuttavia, «sono già passati sei mesi e ancora non abbiamo certezze. La prossima manifestazione di protesta – aggiunge D’Angelo –, si svolgerà martedì 15 febbraio, in occasione della riunione monotematica del consiglio regionale, nel corso della quale si discuterà dei fondi da stanziare per l’assistenza sociale. Ormai siamo al paradosso: i tagli, che si stanno rivelando drammatici in tutta Italia, colpiranno più pesantemente il Mezzogiorno, che avrebbe invece bisogno di essere maggiormente sostenuto. Il risultato? Aumenteranno i poveri e i fenomeni di disagio e di devianza sociale e le uniche forme di assistenza che resisteranno saranno quelle offerte dalla criminalità organizzata o dal volontariato».
Per fare il punto sulla situazione, dal 24 al 26 febbraio a Napoli si svolgerà un “cantiere nazionale” per discutere della crisi economica e cercare di trovare modi alternativi per affrontare la crisi. «Non è possibile – afferma D’Angelo – risparmiare sul disagio delle famiglie. Rischiamo di ritrovarci a vivere in città più cattive e violente e di perdere migliaia di posti di lavoro».