Il voto sorprendente in 5 capitali d’Italia

I risultati dei ballottaggi in alcune delle maggiori città della penisola indicano un elettorato in grande movimento. Qualche considerazione per aiutarci a capire il delicato momento della nostra politica
Ballottaggi

In una giornata elettorale che ha riservato non poche sorprese – come la vittoria del Pd a Varese nella roccaforte della Lega, o il ritorno dell’immarcescibile Mastella a Benevento, o ancora il bis a cinque anni di distanza del centrodestra a Trieste, o la saldatura di interessi non confessabili in alcune città, per non parlare dell'incredibile ribaltamento di forze a Latina –, è il voto in 5 tra le 8 maggiori città italiane che fa pensare non poco.

 

Innanzitutto, al solito, bisogna riscontrare il calo dell’affluenza alle urne di ben 9 punti percentuali, il che fa dire con una certa sicurezza che in alcune città ha prevalso il voto di protesta, o perlomeno che la voglia di cambiare a tutti i costi ha influenzato pesantemente il voto. E poi ha vinto il volto nuovo (Raggi, Appendino, Sala), o perlomeno il volto non ancora troppo consumato dal potere (Merola e De Magistris). Se poi questo volto è di donna, di una mamma e ancora giovane, siamo al massimo.

 

La ripartizione dei vincitori nelle 5 città prese in conto mostra 2 città al Pd, 2 al M5S e una alla sinistra di De Magistris. Pari e patta? No, perché Roma e Torino sono state strappate dal M5S proprio al Pd, raggiungendo cifre da capogiro a Roma (oltre il 67 per cento dei votanti!). E se a Roma si potrebbe anche dire che i grandi partiti tradizionali hanno fatto di tutto per non ottenere la poltrona più difficile d’Italia, non altrettanto si può dire di Torino, dove il Pd partiva dopo il primo turno con un Fassino avanti di 11 punti e un bilancio della passata gestione tutt’altro che da buttare.

 

Raggi e Appendino hanno ora dinanzi a sé delle sfide di enorme peso, e non si sa se saranno capaci di reggerle (anche se glielo auguriamo, per il bene delle loro città): la prova della gestione, innanzitutto. A Roma più impegnativa che a Torino, certamente, ma egualmente difficili. Che squadre proporranno? Sapranno mantenere nella loro comunicazione la freschezza dei loro volti e dei loro messaggi? Reggeranno nei consigli comunali le loro coalizioni, o saranno costrette a compromessi umilianti? Reggeranno alla prova della legalità? E, soprattutto, il M5S saprà diventare forza di governo mantenendo contemporaneamente il suo profilo di lotta?

 

Da parte sua Renzi, checché ne dica il suo entourage, è stato intaccato nelle sue certezze dai risultati di queste 5 grandi città. Una lezione che, in vista del referendum costituzionale di ottobre, potrebbe per lui risultare una sana indicazione per cambiare qualcosa nella propria strategia o, al contrario, uno spunto per rinforzarsi nelle proprie convinzioni e forse per infilarsi in un tunnel di rovesci senza fine. Forse un metodo un po’ più inclusivo potrebbe ad esempio giovargli, e così la non demonizzazione di avversari interni ed esterni. E che dire del presenzialismo mediatico? Non sempre premia, anche il volto più simpatico, quello che buca lo schermo, quando è eccessivo stanca. E poi Renzi ha il bisogno di far ordine nel proprio partito, con il convincimento e non con l’esclusione, con la carota più che col bastone. Non da ultimo, il ruolo del parlamento pare da rispettare più di quanto non sia avvenuto negli ultimi mesi.

 

Si apre da qui a ottobre un periodo di campagna elettorale (perché tale è e sarà) in cui il bene del Paese è in gioco. Sapremo trarne profitto come cittadini?

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