Il voto dell’Onu sulla Palestina: un segnale di pace

L’opinione autorevole di un attore del dialogo israelo-palestinese, il consigliere per la cooperazione internazionale del governatore della Regione Toscana. «Un atto dall'alto valore simbolico, uno sguardo nuovo sul Medio Oriente 
Manifestazioni in Cisgiordania
Il 14 e il 15 novembre si è tenuto a Gerico il “Forum for peace”, che raccoglie oltre cinquanta ong palestinesi e cinquanta israeliane, con oltre 200 partecipanti. Al centro il sostegno alla posizione di Abu Mazen per il riconoscimento della Palestina come «Stato membro osservatore». Alle Nazioni Unite. Certo un atto simbolico, ma di grandissimo rilievo.

Unico soggetto europeo partecipante la Regione Toscana, per i costanti rapporti con questo forum, ma soprattutto perchè si è sempre condivisa una linea di dialogo, di pace e di riconciliazione, che partisse non solo dalla grande politica e diplomazia ma dalla spinta della società civile.

Nelle stesse ore iniziava la seconda guerra di Gaza e tutto sembrava perduto. Soprattutto la guerra di Gaza sembrava mostrare che la violenza e le armi pagano. L’ampia tregua ottenuta da Hamas cancellava in un attimo il faticoso e coraggioso impegno diplomatico del presidente della Anp. Israele esibiva tutta la sua forza e Nethaniau così si candidava alle elezioni politiche di gennaio e Hamas riprendeva la leadership palestinese, mostrando in un attimo che si può ottenere con la forza l’impegno a far terminare il blocco a Gaza. Hamas e il governo israeliano sembravano aver costruito una alleanza oggettiva, ciascuno per conseguire i propri obiettivi.

Il terzo invitato al banchetto, e cioè il presidente dell’Egitto Morsi, diventava il punto di riferimento di tutti i Paesi arabi, dalla Turchia al Qatar alla Tunisia. E nuovo e ingombrante interlocutore per Israele. Gli Stati Uniti diventavano garanti di questo equilibrio assai fragile e delicato.

Nel documento conclusivo del Forum si afferma tra l’altro che «i partecipanti sostengono il passo che consentirà ai palestinesi di chiedere la determinazione dello Stato alle Nazioni Unite. I partecipanti hanno confermato che questo passo potrebbe essere l’ultima occasione per ottenere la soluzione dei due Stati con i negoziati».

Figure autorevoli della società civile e politica palestinese e israeliana insieme chiedevano il sostegno di questo voto alle Nazioni Unite, nella consapevolezza che bisogna spezzare la forza della violenza con la cultura del diritto e costruire un nuovo sguardo sull’intero Medio Oriente.

Fino a ieri l’altro, come ho potuto constatare anche alla Farnesina, tutti erano orientati verso l’astensione dell’Italia nel voto alle Nazioni Unite. La stessa visita del primo ministro Monti in Israele alla fine di ottobre preludeva a questo tipo di scelta. Poi c’è stata Gaza, dove i veri protagonisti sono state le armi e i missili, che con la loro violenza hanno dominato la scena e prodotto sofferenze indicibili. Il partito della guerra ha preso il sopravvento e i semi di questo partito sono semi di odio. I veri protagonisti sono stati il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, il presidente dell’Egitto, l’emiro del Qatar e il segretario di Stato Usa.

Tutto questo ha fatto riflettere il governo italiano, accompagnato dal saggio consiglio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il presidente Monti ha capito che il voto delle Nazioni Unite rilanciava il processo di pace, rafforzava nel mondo palestinese chi ha sempre creduto alla forza del diritto e non al diritto della forza, apriva di nuovo il sentiero di Isaia per una nuova cultura della riconciliazione.

E dunque con coraggio il presidente Monti ha scelto la pace, il diritto, la legalità internazionale, la riconciliazione contro chi ha sempre fatto delle armi il tragico strumento della politica.

Questo voto non è contro Israele, anzi aiuta Israele a uscire da una visione statica e violenta dei rapporti politici, per riaprire il faticoso ma ineludibile sentiero delle trattative e del dialogo. Si apre una grande occasione anche per il governo israeliano, per dimostrare nei fatti alla sua opinione pubblica che non c’è alternativa alla pace e che non conviene l’isolamento internazionale. Questo apre una fase nuova di responsabilità di fronte al conflitto israelo-palestinese.

I palestinesi, tutti i palestinesi, Fatah ma anche Hamas, dovranno affermare e praticare l’arte della nonviolenza, l’unica arte che dà futuro al popolo palestinese, ai suoi figli più piccoli, e rende credibile la trattativa, che non si può fondare sulla legge della prepotenza ma del riconoscimento dei diritti dell’altro. La riconciliazione palestinese si può fondare solo sulla nonviolenza, sulla verità e sulla democrazia, come hanno anche testimoniato le elezioni comunali nella west bank.

L’Europa dovrà essere presente in modo coraggioso e innovativo in Medio Oriente, avendo come esempio l’intervento svolto per la risoluzione della guerra israelo-libanese del 2006. E anche l’Italia deve essere coerente con questa scelta, che per la prima volta supera il pilatismo per seminare con coraggio la pace. La scelta di Monti oggi sembra molto simile a quella di Prodi nella guerra israelo-libanese, dove Israele venne salvata da una catastrofe politica.

Nessun facile entusiasmo. Chi conosce il Medio Oriente sa quanto tutto è faticoso e doloroso, ma oggi l’Italia rilancia la sua presenza nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, all’interno di un nuovo protagonismo europeo. Non vogliamo più essere spettatori di un conflitto, ma facitori di pace, a partire dalla sofferenza del popolo palestinese e dalla domanda di sicurezza del popolo israeliano.

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