Il volto pericoloso delle parole: “Il ragazzo dai pantaloni rosa”

Un efficace film sul tema del bullismo e del cyberbullismo, tratto da una storia vera e tragica: quella di Andrea Spezzacatena. Un film che si offre come strumento di dialogo tra adulti e giovani, riflettendo sul ruolo delicato delle parole. Articolo pubblicato sul sito unitedworldproject.org
L'attore Samuele Carrino, al Rome International Film Fest, 24.10.2024. ANSA/FABIO FRUSTACI

Le parole sono proiettili. Sono anche medicine, ossigeno e balsamo. Sono il danno o la cura. Dipende da quale funzione gli assegniamo.

Rimbomba in mente questa riflessione sul potere delle parole, vedendo il film doloroso, anche se pieno di vita, Il ragazzo dai pantaloni rosa. Lo ha diretto Margherita Ferri a partire dalla storia vera di Andrea Spezzacatena, morto suicida, il 20 novembre del 2012, a Roma, all’età di 15 anni, dopo essere stato vittima di bullismo e cyberbullismo.

Si muove tristemente nella testa e nel cuore, questo pensiero sulla forza delle parole, ancor di più se relazionato alla fragilità dei giovani. Alle loro insicurezze e sofferenze, alla difficile realtà culturale nella quale sono immersi. Per loro, ancora di più che per gli adulti, le parole possono diventare armi da puntarsi contro con inquietante facilità, e una pistola in mano a un ragazzino è ancora più pericolosa che in mano ad un adulto.

Ecco, l’adulto. Non si può non pensare a lui – al padre, alla madre, all’insegnante, all’allenatore, al sacerdote, al maestro di musica, allo zio, all’amico di famiglia, persino allo sconosciuto – vedendo questo film uscito il 7 novembre in Italia, dopo l’anteprima mondiale alla Festa del cinema di Roma. Perché l’adulto ha il compito, delicato, arduo ma fondamentale, di spiegare al giovane il potere delle parole. Quello curativo, ma anche, ancora di più, la capacità di uccidere con le parole. Ha il dovere di allenare l’empatia dell’aspirante, apprendista uomo, a vedere nel prossimo colui da rispettare, prima di tutto, poi, anche da amare come sé stesso.

Ancora di più oggi, come la pellicola ribadisce, che quelle parole non vengono solo dette a voce, non compaiono solo su un muro, ma vengono impresse, tatuate su quel web che annulla il tempo e lo spazio. Che ti raggiunge sempre e ovunque. Lo dice chiaramente l’Andrea del film (ben interpretato da Samuele Carrino), quando un video girato contro la sua volontà e contro la sua persona, inizia a rimbalzare da un ragazzino all’altro attraverso social e dispositivi.

Ecco che le immagini e le parole prendono velocità e forza dirompente, devastante, come la neve di una valanga. Il compagno incrementa la viralità di quel contenuto deprecabile magari per sentirsi parte del gruppo, o perché non guidato, non abituato, non formato dall’adulto ad immedesimarsi nell’altro. Nella sua sofferenza. La superficialità di un errore si somma a tanti altri che lo trasformano in male enorme. Plasma un dramma solitario, silenzioso, che in alcuni casi, come in quello raccontato con chiarezza dal film, penetra nella fragilità endemica dell’adolescenza e può portare un ragazzo straordinario come Andrea, innamorato della vita ed estremamente sensibile al prossimo, a compiere il più estremo dei gesti.

La mamma del vero Andrea Spezzacatena, Teresa Manes, ha scoperto, dopo la morte del figlio, una pagina Facebook nella quale veniva preso di mira. Il profilo si chiamava “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, realizzato dopo che Andrea aveva indossato a scuola un paio di pantaloni originariamente rossi, poi divenuti rosa per un lavaggio.

Teresa, interpretata nel film da Claudia Pandolfi, ha scritto un libro sulla storia tragica di suo figlio, Andrea, oltre il pantalone rosa, poi altri, e per il suo enorme lavoro sul tema, per la sua opera instancabile di sensibilizzazione sul bullismo, anche nelle scuole, è stata nominata Cavaliere al merito della Repubblica da Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica italiana.

Il ragazzo dai pantaloni rosa è dunque il passo più recente di un cammino che dura da anni, ed è, nella sua semplicità e asciuttezza, un film importante, anzi un film necessario. Perché strumento del dialogo tra adulti e ragazzi, perché capace di toccare il cuore di entrambi.

È un film sulla vitalità di Andrea, sulla sua bellezza, sulla sua intelligenza, sulla sua purezza, sulla sua brillantezza e sulla sua sensibilità. Solo alla fine, all’improvviso, come un pugno allo stomaco, diventa un film sulla sua morte, e questo ci rivela ancora più limpidamente, e purtroppo drammaticamente, quanto il bullismo e il cyberbullismo possano distruggere la vita di un giovane.

La funzione di questo emozionante film, allora, è quella di educare i giovani – ma anche gli adulti – a disinnescare il volto pericoloso di quelle parole che, dice Andrea nel film, possono essere «come dei vasi di fiori che cadono dai balconi. Se sei fortunato li schivi e vai avanti sulla tua strada, ma se invece sei un po’ più lento, ti centrano in pieno e ti uccidono». È una delle tante frasi utili di Il ragazzo dai pantaloni rosa. Un film da mostrare nelle scuole, perché le parole, come ha spiegato bene la mamma di Andrea, «sono anche pietre, e con le pietre si può costruire».

Articolo pubblicato sul sito unitedworldproject.org

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