Il violino di Renaud Capucon
A 38 anni il violinista francese è un interprete di eccezionale abilità tecnica, di sensibilità, di capacità rara di controllo del suono. Che gli esce nido, fluente e “tenuto”. Ma non gigioneggia mai. Così il concerto per violino e orchestra di Mendelsshon, eseguito all’Accademia romana di Santa Cecilia, ha una pulizia, una misura e insieme un languore che è davvero il puro romanticismo del compositore. Mendelsshon infatti è autore di trasparenza, di purezza e di luce genuina che genera felicità ogni volta che lo si ascolta. Fin dall’inizio, così singolare, senza preludio per esporre il tema cantabile e affettuoso e poi nel passaggio all’Andante, canto d’amore di limpidezza ineguagliabile e al Finale vivace, Capucon delinea un unico arco melodico dove i l virtuosismo è volo dell’anima, fantasia allo stato germinale: è Mendelsshon.
Come Semyon Bychkov accompagna è una lezione di equilibrio, delicatezza unica. Il direttore russo poi si sfoga nelle Seconda Sinfonia di Franz Schmidt, immensa come tutto ciò che di sinfonico è stato scritto dopo Wagner.Un simile gigantismo certo è un duro contrasto con il mondo felice mendesshoniano e il pubblico ne risente. Ma ascolta i tre vasti movimenti in cui articolazioni brahmsiane s’ uniscono a senso folclorico e ad intuizioni novecentesche pur nella scrittura rigorosamente tonale. Il direttore russo, composto e dal gesto morbidissimo, fa fluttuare l’orchestra nella macchina sinfonica con grande libertà e precisione così che ne esce un affresco debordante e lussuoso, di un ultimo sbocco romantico di infiniti sentimenti ed emozioni, rivelando un autore non eccelso ma da riscoprire comunque.