Il Vietnam di Marja

Marja Sabadini e My Lai four. Una donna italo-vietnamita ed un film che parla del massacro del suo popolo. Intrecci di vite e storie nella tragedia del Vietnam
My lai four

È il 16 marzo 1968 quando nel villaggio di My Lai, nel Vietnam Centrale, i soldati statunitensi compiono un massacro: a morire sono cinquecento civili vietnamiti.

 

Il regista Paolo Bertola racconta questo episodio della guerra americana in Indocina nel film My Lai four, concentrando la sua attenzione sul massacro e la sofferenza di chi in questa guerra è stato il vero sconfitto, il popolo vietnamita.

 

Sembrano così distanti quelle parole che, nel lontano 1972, pronunciava Tiziano Terzani in merito al rapporto tra i media e la guerra americana contro i vietcong: «I soldati dietro i quali si va diventano presto noi, e quelli che ci sparano addosso, gli altri, diventano i nemici, i bad guys, i cattivi, come gli americani hanno qui insegnato a chiamarli ». Le prospettive sono cambiate e così anche il modo in cui il mondo cinematografico racconta quegli eventi.

 

«Mio Dio dove sei? Se ci sei materializzati adesso! Ora vieni sulla terra! Per sette anni l’ho chiesto. Quando hai tanta paura cosa domandi a Dio?», le preghiere dei bunker antiaerei acquistano voce. Marja Sabadini quella guerra l’ha vissuta e quelle preghiere le ha pronunciate, ora, con dolore, ancora le ricorda e ha potuto così fornire importanti spunti al regista Bertola ed a Enrico Sabena, autore delle musiche.

 

«Bombardano Saigon. Una madre non riesce a partorire suo figlio!, sono queste le filastrocche che i nostri genitori ci insegnavano e che, noi bambini, cantavamo ciclicamente durante i tremendi momenti della guerra, tra gli orrori. Le cantavo lentamente, nei bunker, con le orecchie tappate». Queste filastrocche, ora messe in musica, fanno parte della colonna sonora del film.

«Davanti alla guerra, ai massacri, alla vita di un popolo che viene distrutta, mi domandavo quale musica potesse accompagnare queste immagini in maniera profonda», confessa Sabena, «la realizzazione della colonna sonora è stata un’esperienza spirituale, nel senso più profondo, introspettiva».

 

«Per me non è un film, è vita vissuta. Una storia che non deve più succedere», è il commento di Marja Sabadini. Marja di guerre nella sua vita ne ha combattute tante: «Sono figlia di un italiano. Dicono che non ci fossero italiani nella guerra del Vietnam, purtroppo non è così!». Il valdostano Luigi Sabadini, dopo anni da partigiano nella resistenza italiana, partì come legionario in Indocina, là si mise al servizio di francesi, vietnamiti e americani e là si innamorò di una guerrigliera dai lunghi capelli. Assieme diedero alla luce nove bambini, uno di questi è Marja, nata nell’estate del 1969. «Correre era ciò che facevamo tutti i giorni, se non correvi eri morto».

 

Poi arriva il 1975, gli americani lasciano il Vietnam insieme a tante famiglie in fuga. Quella di Marja è una di queste, su uno degli ultimi voli. Riescono a salire, tutti tranne Marlen, la folla l’ha risucchiata;  l’ultima volta che l’ho vista aveva indosso un Ao Yoi, l’abito orientale per la domenica, nero, e in testa un cappello a cono. I soldati sparavano in aria perché troppa gente sognava di lasciare quella terra».

 

Arrivata in Val d’Aosta, la famiglia è respinta ed isolata dalla gente del posto, Luigi scava trincee nel giardino ed in casa tutto è un continuo richiamo alla guerra, tra estenuanti appelli ed esercitazioni. Marja però non ci sta, a quattordici anni fugge, la sua scuola è la strada. Diventa un’artista, si esibisce col fuoco. Ad una festa privata incontra un giovane, attraente e benestante, i due si innamorano e vivono felici. Dai genitori di lui però l’italo-vietnamita non è vista di buon occhio e dopo un po’ tutto finisce: lui scappa con un’altra, lei rimane per strada con una figlia piccola, Nicole. Più tardi, alle due, si aggiungerà Sirya, «arrivata in un momento di scoramente, con il bisogno di stare tra le braccia di un uomo».

 

Il loro lavoro è lo spettacolo di fuoco, come l’hanno battezzato, la loro casa è l’automobile, il loro bagaglio è poco più di una valigia. Per diciasette anni, Marja ha vissuto per strada ed ammette «Non pensate che non soffra a vedere le mie figlie così, guadagno da sola mille euro al mese e si campa a fatica».

 

In più un tarlo, un sogno, un progetto: tornare in Vietnam a cercare Marlen. Sarà mai possibile?

«Un giorno di pioggia trovai per caso un libro inzuppato. Lo portai a casa, lo asciugai e lessi una scritta: Vuoi partecipare alla fiera internazionale del libro raccontando la tua storia? Così feci: raccontando il mio dolore». La giuria lesse il libro autobiografico, Il sogno di Marja, e lo votò. Poi la collaborazione con il film My Lai four, un po’ di soldi che arrivano e infine, il 20 gennaio 2011, la partenza: destinazione Vietnam. Là ora Marja, la sopravvissuta, la ribelle, la sventurata, affronta il suo viaggio: un viaggio alla ricerca della sorella, delle sue radici e di se stessa.

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