Il viale delle fate
Aveva perso, per la difterite, l’unico figlio maschio, appena ventenne. In seguito le erano morti anche il marito ed una delle quattro figlie sposate, che era emigrata in Francia. Così era rimasta sola in quella casa isolata in mezzo al bosco, sola e poverissima come sempre era stata. Lei però, mia nonna, analfabeta ma molto furba e intelligente, aveva messo su una specie di piccola bottega: vendeva zucchero, caffè e per racimolare qualche soldo in più anche il giornale. Scendeva a comprarlo al paese per poi rivenderlo a quei pochi che lassù, a mille metri sull’Appennino ligure, avevano imparato a leggere. Ma il giornale si moltiplicava, perché lei non lo vendeva intero, ma pagina per pagina! Parlo di più di ottant’anni fa, quasi un secolo. Mia nonna, una creatura minuta col viso segnato da mille rughe, i capelli bianchi raccolti da un fazzoletto legato sotto il mento, le grosse mani screpolate, un sorriso sdentato ma sereno e pieno di tenerezza. Camminava ancora svelta quando la incontravo lungo il sentiero che mi portava a scuola. Non era proprio un sentiero, ma una strada sterrata dove passavano anche le slitte e i carri. Il punto dove quasi sempre ci incrociavamo era chiamato viale delle fate: un tratto pianeggiante fiancheggiato da faggi secolari. In inverno la neve e il ghiaccio piegavano i rami ad arco sicché ci si passava sotto come in un tunnel bianco; e i cristalli di neve, riflettendo il primo sole del mattino, brillavano come diamanti: davvero uno spettacolo indimenticabile! Era il nostro viale delle fate. E la nonna, immersa in una miriade di minuscole stelle, spiccava in tondo a quel breve rettilineo: un puntino scuro laggiù, in mezzo a tutto quel biancore. Già da lontano, appena la scorgevo, mi chiedevo quale dono mi avrebbe fatto. Infilava la mano nel grembiulone dove, oltre all’immancabile rosario, nascondeva sempre qualche cosa di buono, e come da uno scrigno estraeva un grappoli no d’uva passita, una noce, un fico secco, a volte persino una caramella. Cara mia vecchia nonna, sempre così allegra! In occasione del battesimo di mio fratello, nel 1923, era stata lei l’anima della festa: spiritosa, pronta alla battuta arguta, aveva fatto di quel giorno un momento così gioioso da non potersi scordare più. Racconta mia sorella maggiore che, quando aveva circa dieci anni, durante i lunghi inverni nevosi, nostra madre la mandava a far compagnia alla nonna. Io, a quel tempo, non ero ancora nata. Nevicava per giorni e giorni, tutto scompariva sotto quello spolverio di fiocchi bianchi. Le giornate erano lunghe per una bambina costretta in quella casa isolata, avvolta dal silenzio. La nonna allora tirava fuori il suo rosario a grani grossi. Ne recitava uno al mattino, uno al pomeriggio e uno alla sera, alla luce di una lanterna ad olio. Per una bambina, tre rosari erano veramente troppi, e la nonna lo capiva. Così, appena si poteva camminare, magari sulla neve ghiacciata, l’accompagnava nella casa più vicina, dove abitava una compagnetta con cui poter giocare. Da lei nostra madre ha ereditato la fede semplice e sicura che l’ha sostenuta nelle fatiche e nei dolori di tutta una vita. Il rosario è stato la sua forza nei due lunghi anni in cui non si avevano notizie di mio fratello prigioniero in Germania. Ritornò sano e salvo e raccontò: Mi sembrava di avere su di me Qualcuno che mi proteggeva. Durante un bombardamento tutte le baracche del suo campo di concentramento bruciarono fuorché la sua, dove lui era rimasto per una forte febbre. A quaranta giorni io mi ammalai di gastroenterite. Era inverno, non c’erano medicine adatte a quei tempi e lassù il medico arrivava a stento. Non c’erano strade. Sopravvissi ed eccomi ancora qui, a settanta anni e più, a scrivere questi ricordi della nonna. Quando morì a settantadue anni, il 1° giugno 1940, giorno e anno in cui l’Italia di Mussolini entrava in guerra, io avevo nove anni. Nel bosco dove era andata a farsi un fascetto di legna, fu colta da un ictus. Durante la notte se ne andò in silenzio, senza un lamento, così come aveva vissuto. A me piace ricordarla così, mentre mi veniva incontro sul viale delle fate, un puntino scuro in mezzo a tutto quel biancore.