Il viaggio di Angélique

Oyaya in lingua yoruba vuol dire gioia. E il fatto che Angélique Kidjo abbia deciso di intitolare così il suo ultimo album – il sesto della sua discografia – la dice lunga sul clima che si respira tra i solchi. Ma ciò che rende così coinvolgente il lavoro è l’idea di fondo che l’ha generato: ripercorrere attraverso un pugno di canzoni lo stesso viaggio che generazioni di schiavi africani fecero verso il continente latino-americano. Viaggio tanto dolente e coatto allora, quanto gioioso e spontaneo oggi: non certo per certi insopportabili revisionismi della postmodernità o per semplicismo opportunista, ma perché frutto di un umanesimo profondo e della convinzione che un futuro migliore si nutra soprattutto attraverso le radici della propria storia, e dall’amore per quella altrui: C’è solo una razza umana – ha affermato Angélique di recente -. Se si viene allevati a contatto con la natura si impara a capire e a rispettare ogni forma di vita. E una volta che lo si capisce, non c’è più bisogno di odiare nessuno, non c’è più bisogno di dire loro e noi. Nata a Quidah, un paesino sulle coste del Benin (la nazione dell’Africa occidentale tra la Nigeria e il Togo), Angélique ha accumulato esperienze sulla scena locale e in qualche tournée negli stati vicini, finché – all’inizio degli anni Ottanta – è emigrata a Parigi entrando in contatto coi più bei nomi della world-music planetaria come il camerunense Manu Dibango e il malese Selif Keita. Da lì a poco arrivarono anche collaborazioni con stelle del calibro di Santana e Gilberto Gil. Divenuta nel decennio successivo uno dei personaggi di punta del cosiddetto sound d’Afrique, album dopo album, la sua popolarità è cresciuta anche al di fuori della sua patria d’adozione arrivando a far breccia anche sugli schizzinosi supermercati del pop anglo-statunitense. Oyaya! (Columbia – Sony Music) non è solo un racconto di viaggio che dalla sua Africa arriva fino ai Caraibi, ma uno splendido biglietto da visita per quanti ancora non la conoscessero. Se in passato la Kidjo ha innestato sulle inconfondibili atmosfere africane cadenze rhythm’n’blues e funky, talvolta spruzzate di jazz e di arabeschi poppeggianti, qui il caleindoscopio s’arricchisce degli infiniti colori ritmici dei tropici e s’illumina anche dell’immediatezza universale e quasi naïf delle liriche, dove oltre che in spagnolo e francese si canta soprattutto in yoruba e in fon (le sue due lingue-madri) e in mina (la lingua del Togo e del Ghana). Ma quel che potrebbe essere una Babele di lingue e di ritmi si trasforma in un’armoniosa e vivacissima sequenza di emozioni sonore. Tredici splendide canzoni, dove s’alternano musicisti africani, statunitensi, europei e latinoamericani, dove si passa con estrema naturalezza dal bolero cubano alla bomba di Portorico, dal calypso di Trinidad al merengue di Santo Domingo, dallo ska giamaicano alla kompa haitiana fino a una traduzione caraibica della mazurka europea. Oyaya! vibra di spiritualità e di speranza. Ambasciatrice Unicef, Angélique canta guardando il mondo con gli occhi puri di una bambina e la dolce saggezza di una vecchia mama africana. Nella conclusiva Bassimilai, profumata di gospel, la Kidjo si fa ancora più esplicita: Non credo a nessuno che mi dica che bisogna uccidersi nel nome di Dio. Ogni volta che porti via una vita, stai portanto via la vita a Dio. Quella stessa vita che invece ancora freme e gioiosamente tracima dai solchi di questo disco. CD NOVITÀ ROSA PASSOS AMOROSA Odyssey-Sony Music In Brasile la considerano una sorta di alter ego femminile di Joao Gilberto. Questo disco la conferma tra le grandi stelle dell’inossidabile bossanova, quell’irresistibile mix di jazz e di samba d’autore, di solarità e malinconie crepuscolari che da oltre quarant’anni scalda il cuore e le orecchie di chi ama la Musica al di là del tempo e delle mode. Con la complicità di gente come Henry Salvador e Paquito D’Rivera, cita Jobim e Gershwin con Rosa Passosla classe e la naturalezza di un’Ella Fitzgerald tropicale. Splendido. la classe e la naturalezza di un’Ella Fitzgerald tropicale. Splendido. MARITIME GLASS FLOOR De Soto-Audioglobe Un trio statunitense ancora poco conosciuto in Europa. Non inventano nulla, ma il loro sound ha la leggerezza del miglior pop, le preziose armonizzazioni vocali dei Beach Boys, la linearità compositiva dei grandi maestri del rock.Teneteli l’occhio e buttateci l’orecchio: qualcuno già li definisce i nuovi Smiths. f.c.

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