Il viaggio del papa a Lesbo

Un atto di apertura, vicinanza e accoglienza in continuità con le visite a Lampedusa, in Messico, al Cara di Castelnuovo di Porto. I muri indeboliscono l'Europa e il terrorismo non si può affrontare separandosi, ma affrontando insieme e condividendo come Paesi europei un cammino comune. Nostra intervista a monsignor Giancarlo Perego, direttore generale Fondazione Migrantes della Cei
Un bambino migrante in Grecia

Il 2015 è l’anno della svolta. I migranti in partenza dal Medio Oriente, dal Corno d’Africa e dall’Asia si sono diretti verso la Turchia e sono sbarcati in Grecia: oltre 850 mila persone. In Italia sono solo 153.842 persone. A fronte di una persona sbarcata in Italia ne sono sbarcate cinque in Grecia. Dall'inizio dell'anno in Italia il numero delle persone sbarcate è di oltre 23 mila, con una crescita del 55 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. In Grecia gli sbarchi hanno superato i 150 mila dall'inizio dell'anno. C’è molta attesa per il viaggio di papa Francesco nell’isola greca di Lesbo, sabato 16 aprile. Nostra intervista a monsignor Giancarlo Perego, direttore generale Fondazione Migrantes della Cei.

In che contesto avviene la visita del papa a Lesbo? Quali sono i motivi del viaggio?

«La visita di papa Francesco a Lesbo avviene in un momento drammatico e delicato, al tempo stesso, delle migrazioni forzate verso l'Europa. Drammatico per le violenze, le chiusure nei confronti dei migranti a Lesbo e nelle altre isole di confine della Grecia. Delicato, per le scelte di esternalizzazione verso la Turchia che l'Europa ha fatto in riferimento all'accoglienza dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati. La drammaticità e la delicatezza della situazione hanno portato papa Francesco a fare una scelta ecclesiale di vicinanza ai richiedenti asilo e rifugiati, in continuità con la visita a Lampedusa e al centro Astalli del 2013, alla celebrazione eucaristica al confine tra Messico e Stati Uniti nel 2015 e alla visita al Cara di Castelnuovo di Porto, alla periferia di Roma, il giovedì santo scorso. Una scelta ecclesiale di vicinanza che sostiene i molti gesti di accoglienza nei confronti dei richiedenti asilo e rifugiati della Chiesa in Italia e in Europa. La scelta di papa Francesco di condividere questa visita con il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, e con l'arcivescovo ortodosso di Atene, Hieronimus II, assume anche un significato ecumenico, facendo diventare questa visita un passo concreto verso l'unità delle Chiese».

Gli accordi Ue-Turchia sono contrari ai diritti umani?

«L'Europa, delegando la Turchia ‒ un Paese che non ha sottoscritto l'accordo di Ginevra a tutela dei rifugiati e che non ha un piano nazionale d'asilo ‒ all'accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, ha di fatto disatteso l'impegno alla protezione internazionale di migranti in fuga da guerre e disastri ambientali, da persecuzioni politiche e religiose, nuovi schiavi di trafficanti di esseri umani. È un grave passo indietro dell'Europa dei diritti, una ferita grave all'Europa della solidarietà».

I muri in Ungheria, il filo spinato in Macedonia, le barriere ai confini con l’Austria sono una possibile soluzione?

«I muri, le barriere, i fili spinati che stanno crescendo in Europa rischiano non solo di affrontare in maniera non intelligente e concreta il dramma dei migranti forzati, ma minano l'Europa stessa, con un ritorno grave a forme di nazionalismo che oltre ad avere conseguenze sul piano economico, indeboliscono anche la sicurezza dell'Europa. Il terrorismo oggi, infatti, non si può affrontare separandosi, ma affrontando insieme e condividendo insieme come Paesi europei un cammino comune. Così le migrazioni forzate chiedono un percorso insieme, di attenzione alla pace, alla cooperazione allo sviluppo, a fronte delle 33 guerre in atto.

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