Il vestito della festa

Il genio dell’amore conosce solo storie al singolare e nomi propri di persone.
Una famiglia rom

L’amore vive di eccessi e di paradossi. Non può stare nelle righe, non può bastare a sé stesso, non sopporta la misura e le proporzioni. Usa il cuore con intelligenza e l’intelligenza con il cuore. Sa essere raffinato ed elegante. Mai banale, mai ripetitivo, mai scontato. È raro incontrarlo, ma quando ti succede non c’è ombra di dubbio: lo riconosci e basta.
A Milano sono migliaia le famiglie rom che vivono ai margini della città, nascoste nelle sue pieghe e nei suoi anfratti, invisibili agli occhi anche dei più attenti, perché la povertà, quando è radicale, sa celarsi e scomparire. Solo il fuoco di un incendio devastante che, baracca dopo baracca, ha consumato in pochi secondi l’unico riparo, le povere cose, i quaderni di scuola, le coperte, i documenti, i brevi ricordi, le piccole speranze a cui aggrapparsi, ha saputo riaccendere l’attenzione su questo popolo senza volto.
Maria è incinta e in quei frangenti drammatici dà alla luce prematuramente due gemelle: Aurora e Valentina, un paio di chili in due, se esageriamo per eccesso. Due bambine che si aggiungono ad altri due piccoli già nati. Giusto il tempo di metterle al mondo e la mamma viene dimessa dall’ospedale in quarta giornata, come da protocollo. Ad aspettarla c’è Giuseppe che nel rogo ha perso tutto, anche le scarpe per raggiungerla in ospedale. E non ha più neanche un riparo in cui farla riposare.
Sono in trecento in quel campo, ognuno ha la sua storia di povertà e di paura. L’emergenza trasforma le persone in numeri, in casi, in posti letto, in precedenze, in competenze territoriali. Non può ammettere distinguo, non può indulgere in eccezioni.
Ma il genio dell’amore conosce solo storie al singolare e nomi propri di persone. Una maestra attiva attorno a Maria e Giuseppe una rete di aiuto concreto e li sostiene come dei figli. Nel pacco di vestiti e coperte preparati per loro, una volontaria di un’associazione di accoglienza insiste per mettere anche un elegante abito da uomo, appena uscito dalla tintoria. Le domando come in un frangente così caotico le sia venuto in mente di scegliere proprio quell’abito. Mi risponde stupita della domanda: «Avevo sentito dire che in quei giorni cadeva la Pasqua ortodossa, ho cercato qualcosa di speciale, un vestito per la festa. Ho solo il rimpianto di non avere aggiunto anche la camicia bianca, perfetta per quel vestito». L’abito sembra tagliato su misura per Giuseppe, è l’abito della dignità riconosciuta. Ma è anche l’abito del cristiano che sa prendersi cura dell’altro, accogliendolo come il più amato dei figli.

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