Il Venezuela in bilico

Gli attriti tra governo e opposizione hanno paralizzato il Paese in balìa di una gravissima crisi economica che limita anche l’erogazione elettrica. La gravità della situazione nell'approfondimento che continua sulla rivista Città Nuova
Venezuela

Rossi contro Blu. Rivoluzione bolivariana contro Destra golpista, o ancora dittatura chavista populista contro Democrazia repubblicana. Il Venezuela è un Paese spaccato in due, sin dalle legislative dello scorso dicembre, quando le urne  hanno assegnato la maggioranza parlamentare alla coalizione di centrodestra all’opposizione del governo.

 

Nella tesissima e velenosa campagna elettorale, il presidente Nicolás Maduro, erede designato dal morente Chávez, aveva denunciato pressioni esterne al Paese e aveva minacciosamente avvertito: «Il popolo e questo presidente non si lasceranno sottrarre la rivoluzione». Durante la consultazione elettorale sono state proibite ben sette candidature anti-chaviste, tra le quali quella della deputata María Corina Machado, deposta dall’Assemblea nazionale con l’accusa infondata di terrorismo, e del prigioniero politico più famoso del mondo, Leopoldo López, un giovanissimo e brillante sindaco condannato a 14 anni di carcere per incitazione alla rivolta violenta, dichiarato colpevole dei 43 morti e 800 feriti causati dai tafferugli del 2014.

 

Le due ali del Parlamento sono spaccate come lo è il corrispondente elettorato, mentre volano accuse reciproche di accaparramento di poteri a discapito della gente, che si trova a dover gestire una pesante crisi energetica in un Paese che gode di ampie risorse petrolifere ma è incapace di utilizzarle. Nel frattempo il governo si orienta a spostare il fuso orario in avanti di mezz’ora per risparmiare e incolpa l’uragano El Nino per la crisi che nella sola città di Caracas ha portato alla chiusura dall’inizio di aprile di 300 mila esercizi, tra cui tanti posti di ristoro e negozi di alimentari, incapaci di reggere senza elettricità.

 

Le proteste in piazza e attorno ai palazzi del governo non sono mancate, ma ricucire una spaccatura interna così profonda e di lunga data non è e non sarà facile. Dopo la sconfitta nel referendum costituzionale del 2007, la prima per Hugo Chávez, il governo aveva sistematicamente eliminato le minacce elettorali più serie, cambiando le norme elettorali e utilizzando l’apparato e le risorse dello Stato per dichiarare ineleggibili per corruzione centinaia di candidati alle amministrative del 2008. Di fronte al crescente autoritarismo del successore di Chávez e alla carente gestione di governo, l’opposizione aveva cominciato a farsi sentire.

 

Nella campagna per le scorse legislative, il leader dell’opposizione dialogante ed ex candidato alle presidenziali Henrique Capriles, aveva deciso di non appoggiare il movimento “L’Uscita” (“La Salida”), condotto dal più battagliero Leopoldo López, che credeva di sconfiggere il regime chavista attraverso cortei e proteste. Queste manifestazioni sono state interpretate dal governo come un attentato sovversivo al Paese e sono state messe immediatamente in atto proibizioni, incarcerazioni e minacce, persino un assassinio. Ma lo scorso dicembre il governo ha di fatto perso il controllo dell’Assemblea generale, conservando solo 55 dei 167 seggi del corpo unicamerale.

 

Gli elettori si sono espressi in maniera nettamente contraria al governo, ma il sistema repubblicano del Venezuela prevede ben cinque poteri, anziché i tre tradizionali, perché ad esecutivo, legislativo e giudiziario, si sono aggiunti il potere elettorale e quello morale (un organo a difesa del popolo e della sua rivoluzione). Ben quattro di questi organismi (fa eccezione, come detto, il Parlamento) rispondono al Partito socialista unito del Venezuela, di Chávez, Maduro e Cabello. E lo stesso dicasi per le Forze armate, schierate a difesa della Rivoluzione bolivariana.

 

Poco prima dell’assunzione dei nuovi deputati, il Parlamento a maggioranza chavista, ha scelto 13 nuovi membri del Tribunale supremo di giustizia (massima istanza giudiziaria pari alla Corte costituzionale italiana), appena in tempo per impugnare la proclamazione di tre nuovi deputati dell’opposizione, in modo da sottrarre alla coalizione anti-chavista il quorum della maggioranza speciale. Ma i tre eletti, pur destituiti dal loro mandato, hanno prestato giuramento ugualmente, protetti dalla nuova maggioranza e dalle autorità parlamentari. Per tutta risposta, il Tribunale supremo ha dichiarato nulle tutte le leggi approvate dal potere legislativo.

 

Intanto a fine marzo il nuovo Parlamento ha approvato la Legge di amnistia e riconciliazione con l’obiettivo di liberare i prigionieri politici, ma i quattro poteri dello Stato a servizio di Maduro si sono inmediatamente opposti adducendo motivi di incostituzionalità, di “rilassamento di moralità del popolo”, di destabilizzazione del governo. Intanto per la terza volta consecutiva il partito all’opposizione ha presentato al Consiglio nazionale elettorale la richiesta di un referendum per revocare il mandato a Maduro. Da parte sua, il Consiglio ha notificato al Parlamento che il disegno di legge sarebbe illegale in quanto tratterebbe una materia di sua esclusiva competenza e non di competenza dell’esecutivo. Tutto questo mentre in tv il presidente annunciava di ridurre la legislatura a sei mesi. La guerra tra poteri dello Stato è aperta e a farne le spese continua ad essere il popolo.

 

Le reazioni della gente e della piazza sul numero di maggio della rivista Città Nuova.

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