Il velo
«Ho due domande. È accettabile che l’abbigliamento in chiesa durante l’estate sia quasi quello della spiaggia? Inoltre: dopo il Concilio il velo è facoltativo o vietato? Nel paese di vacanza molti mi hanno chiesto se sono musulmana! Io ho smesso di mettere il velo per amore di pace, ma… credevo che l’unità andasse vissuta nel pluralismo».
Credo sia importante scoprire la differenza tra essere provocanti ed essere amabili. Il vestito dovrebbe esprimere questa amabilità: più che un modo per mettersi in mostra, accompagna e sottolinea la personalità di ciascuno. Ogni ambiente richiede il suo adattamento: una casalinga si veste in un certo modo quando è in cucina o quando va a fare la spesa o, ancora, quando partecipa a un pranzo di nozze. In ospedale è diverso il modo di presentarsi del malato e del medico e certe divise da lavoro non si indossano in altri ambienti. Così, il modo di presentarsi in chiesa non può essere certo quello che si ha in spiaggia!
D’altra parte anche i tempi hanno le loro mode: le maniche corte oggi, ad esempio, non sono più segno di eccessiva libertà! Occorre salvaguardare quell’atteggiamento che sa mostrare l’aspetto positivo di sé stessi: non basta dire «non c’è nulla di male!», ma domandarsi se il proprio modo di essere, che comprende anche il vestire, ispira amabilità.
Quanto al velo, ma soprattutto più in generale, continuo a credere che l’unità della comunità ecclesiale vada vissuta nella diversità o pluralismo. Mi colpisce il fatto che non si sappia accettare un comportamento, su cui magari non si concorda, ma che non lede la libertà di nessuno. Certo, si tratta di non far diventare la cosa più importante di quello che è: naturalmente, da una parte e dall’altra. In certi ambienti il velo può andar bene, in altri può suscitare una certa reazione e allora ci si “fa uno” con quell’ambiente. Più che per amore di pace, io direi semplicemente “per amore”, che, come dice Paolo, «si adatta a tutto».