Il Vaticano e la Palestina

Prosegue il percorso diplomatico di riconoscimento tra Santa Sede e governo di Ramallah, secondo la logica “due popoli, due Stati”
Palestina

Ieri, 13 maggio, è stato firmato un accordo tra una delegazione della Santa Sede, guidata da mons. Camilleri, vice-ministro degli Esteri vaticano, e una palestinese, guidata dall’ambasciatore Rawan Sulaiman, ministro aggiunto agli Affari esteri.

 

È stato detto che finalmente il Vaticano riconosceva la Palestina, ma non è propriamente esatto. In realtà il 15 febbraio 2000 Olp e Santa Sede avevano già firmato un accordo-base, che riprendeva il primo contatto del 26 ottobre 1994, col quale erano stati stabiliti rapporti ufficiali tra le due parti.

 

L’accordo firmato tratta numerose questioni bilaterali, concernenti in particolare il modo di esistere della Chiesa cattolica in Palestina. Ovviamente, come ha precisato mons. Camilleri all’Osservatore Romano, «trattandosi della presenza della Chiesa nella terra dove è nato il cristianesimo, l’accordo ha una valenza e un significato del tutto particolare».

 

È significativo che nel documento siano contenuti forti auspici «per una soluzione della questione palestinese e del conflitto fra israeliani e palestinesi nell’ambito del Two-State Solution e delle risoluzioni della comunità internazionale, rinviando a un’intesa tra le parti», come precisa ancora il capo-delegazione vaticano.

 

In sostanza il Vaticano – di fronte alla timidezza di tanti Stati europei – conferma e rilancia la necessità di arrivare a una soluzione che riconosca il diritto all’indipendenza per il popolo palestinese, contemporaneamente affermando il necessario riconoscimento palestinese di un diritto simile per lo Stato d’Israele.

 

In realtà allo stato attuale della situazione è inverosimile pensare che i frammenti di territorio palestinese oggi sotto la giurisdizione dell’Alta autorità palestinese possano costituire uno Stato autonomo. Ciò richiederebbe un complesso processo di pace, volto a risolvere gli innumerevoli problemi legati alla convivenza tra i due popoli e alla “vivibilità” di uno nuovo Stato palestinese (confini, risorse idriche, viabilità, risorse energetiche, accesso all’esterno, forze armate…).

 

Le prime reazioni israeliane sono improntate alla “delusione”. Ma si attendono precisazioni da Tel Aviv.

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