Il Vangelo della pace

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Avendo iniziato l’anno con il forte messaggio per la giornata della pace, si può dire che il papa abbia profittato di ogni occasione per ritornare con ostinata fermezza sull’argomento, dando seguito ad un’azione incessante cui la chiesa è votata da tempo. Opportunamente e importunamente, come hanno rilevato anche i commentatori meno favorevoli agli incitamenti del papa quando, a proposito della guerra in Iraq, questi sembravano andare controcorrente rispetto alla politica condotta dai governi di importanti paesi cattolici. Ora, nello stesso mese di gennaio, altri significativi appuntamenti hanno offerto a Giovanni Paolo II l’opportunità di levare alto il suo monito, a cominciare dall’incontro con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. Ai rappresentanti di 174 paesi appartenenti a tutte le principali religioni del mondo, il papa ha ricordato che ovunque la pace sia in causa, vi sono dei cristiani a testimoniare con parole e fatti che la pace è possibile (“) perché, come cristiani, abbiamo la responsabilità del Vangelo della pace. Una responsabilità questa, che tuttavia non è appannaggio esclusivo dei cattolici e neppure soltanto delle diverse confessioni cristiane, poiché esse la condividono con i fedeli delle altre religioni: Quando si crede che ogni persona umana ha ricevuto dal Creatore una dignità unica, che ciascuno di noi è soggetto di diritto e di libertà inalienabili, che servire il prossimo significa crescere nell’umanità (“) si può facilmente comprendere quale capitale rappresentano le comunità dei credenti nella costruzione di un mondo pacificato e pacifico. Da parte sua la Chiesa cattolica può proporre l’esempio del proprio impegno, come testimonia il recente dibattito sulle radici cristiane dell’Europa. Non solo, infatti, si può dire che l’idea stessa d’Europa abbia preso corpo nel tempo via via che il Vecchio continente veniva evangelizzato, ma si può anche ricordare che solo poco tempo fa i cristiani, promuovendo la libertà e i diritti dell’uomo, hanno contribuito alla trasformazione pacifica di regimi autoritari, nonché al ripristino della democrazia nell’Europa centrale e orientale. Certamente l’efficacia di questa azione è proporzionata al grado di unità che i cristiani, pur di diverse denominazioni, riescono a testimoniare. Lo conferma una ricorrenza appena celebrata: il quarantesimo anniversario dell’incontro a Gerusalemme fra Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Atenagora da cui tanto vitale impulso prese l’ecumenismo, nella comune con- vinzione che l’unità dei cristiani avrebbe affratellato le genti, aiutandole a superare il malinteso che pone l’identità religiosa a pretesto di tanti conflitti. Viene spontaneo ricordare a questo proposito la Settimana dell’unità fra i cristiani e le molteplici iniziative cui ha dato vita. Ricordare il lungo e proficuo cammino percorso dall’ecumenismo in questi decenni. Come pure l’impegno scaturito da Assisi per la pace, fra le diverse religioni. E in particolare viene in rilievo, in modo sempre più evidente, l’urgenza di uno sforzo comune in questo senso fra le tre grandi religioni che si richiamano alla propria discendenza da Abramo.Tanto più quanto essa è maggiormente insidiata nei fatti, cioè nelle guerre e nelle drammatiche tensioni che minacciano l’umanità intera. Quasi in segno di riparazione per un reciproco disconoscimento a lungo praticato, di recente abbiamo assistito ad appuntamenti significativi, come la visita dei cristiani alle sinagoghe delle loro città, e, da ultimo, all’incontro con il papa in Vaticano dei due rabbini di Gerusalemme: l’askenazita Yona Metzger e il suo omologo sefardita Slomo Amar. Non a caso la giornata del 17 gennaio è stata dedicata dalla Conferenza episcopale italiana allo sviluppo del dialogo fra cattolici ed ebrei. Esso ha prodotto un ripensamento comune sul rapporto cristiano-ebraico, attraverso molteplici iniziative di comunità, diocesi e movimenti ecclesiali, quali la Comunità di Sant’Egidio e gli stessi Focolari, che hanno promosso momenti di incontro e riflessione comuni. Serviranno il Signore appoggiandosi spalla a spalla, recita il versetto del profeta Sofonia, preso con felice intuizione come tema di questa giornata che ha confermato le prospettive incoraggianti aperte al dialogo cristiano-ebraico. Vasta eco ha suscitato infine il fatto che al Concerto della riconciliazione tenuto in presenza del papa nell’aula Paolo VI la sera del 17 gennaio, insieme al rabbino capo emerito di Roma Elio Toaff abbia partecipato anche l’imam della Moschea di Roma Abdullawahab Hussein Gomaa. L’ebreo onora l’Onnipotente come protettore della persona umana, e Dio delle promesse di vita – ha ricordato il papa -. Il cristiano sa che l’amore è il motivo per cui Dio entra in rapporto con l’uomo e che l’amore è la risposta che egli attende dall’uomo. Per il musulmano Dio è buono e sa colmare il credente delle sue misericordie. Nutriti di queste convinzioni, ebrei, cristiani e musulmani non possono accettare che la Terra sia afflitta dall’odio, che l’umanità risulti sconvolta da guerre senza fine (“). La storia dei rapporti fra ebrei, cristiani e musulmani è segnata da luci e da ombre, e purtroppo ha conosciuto momenti dolorosi. Oggi si sente il bisogno pressante di una sincera riconciliazione fra i credenti dell’unico Dio. Come non riconoscere in questo percorso di riconciliazione una profonda coerenza che, vincendo anche comprensibili diffidenze, coinvolge sempre di più le persone di buona volontà di ogni fede, offrendo già oggi una testimonianza che non potrà non risultare efficace?

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