Il Vangelo a Cuba: servizio, povertà e perdono

Il papa ha chiesto alla Chiesa di Cuba di essere serva e povera.  «Servire significa, in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo»
papa

I giorni della visita del papa ci sorprendono in ogni momento. Innanzitutto questo viaggio sigilla la ripresa di dialogo tra Stati Uniti e Cuba, dopo decenni di embargo e di conflitto, che hanno segnato il popolo cubano e la politica Usa.

Ricordiamo ancora l’intervento di papa Giovanni il 24 ottobre 1962 con l’invocazione alla pace, che toccò il cuore di Kruscev e di Kennedy e contribuì a evitare un conflitto nucleare di dimensioni difficilmente calcolabili. Si fecero stime di un miliardo di persone uccise, se fosse iniziato un confronto militare.

Per il riconoscimento reciproco di Obama e di Castro, è stata l’attività di grande mediatore di papa Francesco che ha aperto un tempo di dialogo, da cui si ha la netta impressione che non si tornerà indietro. Davvero il papa è stato mediatore, colui che dà la vita per unire, e non intermediario, colui che usa gli altri per trarre un vantaggio. E il mondo, che si trova nella terza guerra mondiale fatta a pezzi, ha bisogno di mediatori e non di intermediari, che usano della pace per esibirsi davanti al mondo.

Arrivando all’Avana, il papa ha detto: «Credo che il mondo sia assetato di pace. Ci sono le guerre, i migranti che fuggono, questa ondata migratoria che viene dalle guerre per fuggire dalla morte, per cercare la vita… Io vi ringrazio per tutto quello che voi farete nel vostro lavoro per fare tanti piccoli ponti, piccoli, ma un piccolo ponte e un altro e un altro e un altro fanno il grande ponte della pace». Ecco, la pace fatta di piccole azioni dei piccoli artigiani della pace. Questo impegno egli consegna al popolo di Cuba e alla Chiesa di Cuba: una pace dalla piccolezza.

Il papa, nelle sue omelie e nei suoi discorsi, chiede alla Chiesa di Cuba di essere serva e povera. Commentando il Vangelo domenicale sul “più piccolo e sul più grande”, sul servo, il papa dice: «L’invito al servizio presenta una peculiarità alla quale dobbiamo fare attenzione. Servire significa, in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo. Sono i volti sofferenti, indifesi e afflitti che Gesù propone di guardare e invita concretamente ad amare… Sono persone in carne e ossa con la loro vita, la loro storia e specialmente la loro fragilità, che Gesù ci invita a difendere, ad assistere e a servire. Perché essere cristiani comporta servire la dignità dei fratelli, lottare per la dignità dei fratelli e vivere per la dignità dei fratelli. Per questo il cristiano è sempre invitato a mettere da parte le sue esigenze, aspettative, i suoi desideri di onnipotenza davanti allo sguardo dei più fragili… Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla” e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee ma persone».

Ecco la Chiesa serva dei fragili e dei poveri, degli sfigurati e degli spezzati, serva di tutti a misura del servo sofferente di Dio e di Gesù servo del Padre. Il servizio conferma la dignità di coloro che sono scartati. Ecco l’eminente dignità dei poveri secondo Bossuet.
 

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