Il Triplete del Barça
La Champions League 2014-15 ha i colori del Barcellona, che si aggiudica per 3-1 la finalissima all’Olympiastadion di Berlino contro la Juventus. Troppo forti i blaugrana guidati dall’ex tecnico della Roma, Luis Enrique, al suo primo anno da tecnico in Catalogna: la vittoria non vale solo la quinta Coppa dei Campioni della storia del club ma anche il leggendario “Triplete”, ossia il trionfo nella stessa stagione anche in campionato e Coppa di lega, il secondo per il Barça dopo quello del 2008.
Nessuna colpa può essere imputata a una grande Juventus se Messi, Suarez e Neymar brillano nel firmamento del calcio mondiale costituendo i terminali offensivi di un collettivo eccezionale sul piano dell’autorevolezza, del palleggio e della capacità di sviluppare gioco ad altissima intensità. Certamente la vittoria del mitico “Triplete”, riuscito ad oggi in Italia solo all’Inter guidata da José Mourinho nel 2010, che riuscì ad imporsi, tra le altre, anche sullo stesso grande Barcellona di Messi, sarebbe stata un clamoroso trionfo. Ma per i bianconeri di Massimiliano Allegri si conclude una stagione comunque inattesa ed indimenticabile: scudetto, Coppa Italia e secondo posto in Champions League testimoniano un salto di qualità che la storia dello sport italiano ricorderanno con orgoglio.
Che la finale sarebbe stata maledettamente dura per la Juventus lo si sapeva almeno dalle semifinali stessi, ma dopo soli tre minuti di gioco gli incubi prendevano già forma, quando Rakitic concludeva in rete un’azione da playstation iniziata dal pregevole lancio tagliato in diagonale di Messi e ricamata dai tocchi vellutati di Neymar e Iniesta nel cuore dell’area bianconera. Eppure, dopo il gol rimediato quasi a freddo, la Juventus non si disunisce, lotta trascinata dalla cresta guerriera, agonistica ed estetica, di Arturo Vidal e dal suo proverbiale spirito di indomabile Vecchia Signora. E’ costretta, pur dovendo concedere oltre il 65 per cento di possesso palla ai giocolieri del Barcellona, a scoprire qualche spazio. Prova ad affondare con l’audacia di Morata, a mettere paura ai blaugrana con qualche conclusione, ma è Suarez a spaventarla con due conclusioni di poco a lato.
La Juventus non trema di fronte a giganti dal piede fino, ma conquistare palla appare un’impresa e talvolta la retroguardia traballa, non per propri errori: Buffon, capitano coraggioso, la tiene in piedi ed in partita. A 37 anni e mezzo, che sembrano tali solo all’anagrafe, il numero uno della nazionale concede due colpi di reni degni delle sue più leggendarie prodezze: probabilmente, se il Barça non avesse trionfato alla fine, gli sarebbero valsi il Pallone d’oro, suggello non solo di un’annata bianconera comunque indimenticabile ma anche di una carriera strepitosa. Sull’1-0, al 12° si oppone con un guizzo in controtempo alla conclusione a botta sicura di Dani Alves, mentre al 48° si oppone ad un secco destro d’esterno ravvicinato di Suarez sul primo palo.
A parte qualche conclusione di un Marchisio, encomiabile per intensità e disciplina, la Juventus sembra subire la supremazia del Barça, ma il calcio è meravigliosamente strano e non è matematica: al 54°, proprio nel momento migliore degli avversari, la Vecchia Signora agguanta il pareggio con Morata, che raccoglie la corta respinta del portiere sul tiro ravvicinato di Tevez, bravo a liberare il sinistro su assist dalla fascia destra di Lichtsteiner, smarcato a sua volta da un geniale colpo di tacco dello stesso Marchisio. «A un certo punto ci avevo creduto», dirà alla fine Buffon: il Barça adesso appare confuso, sorpreso, vicino addirittura a subire il gol dello svantaggio, se solo Tevez non alzasse troppo il tiro dal limite e, poco dopo, l’arbitro non sorvolasse sull’atterramento a dir poco dubbio di Pogba in area su “cintura” da judoka di Dani Alves.
Ironia di un beffardo destino, nel momento migliore della Juventus, proprio su capovolgimento di fronte Leo Messi salta Barzagli, perfetto fino a quel momento, liberando dal limite dell’area il suo temibilissimo mancino per impegnare Buffon, sulla corta respinta del quale Suarez ribadisce in rete il 2-1 al 68°. Il resto della gara concede soprattutto due colpi di testa: il primo di Neymar in rete, annullato per essere stato sporcato da un tocco di mano dello stesso funambolo brasiliano, ed il secondo di Pogba, alto sulla traversa. Poi l’assalto finale: Tevez libera il destro a rientrare, parato centralmente, ma Neymar sull’altro fronte non sbaglia a tu per tu con Buffon, finalizzando al 96° un contropiede ordito in superiorità numerica a giochi fatti.
Quello di fine gara sembra anche il triplice fischio della scintillante carriera, almeno quella italiana, del maestro Andrea Pirlo: le lacrime del “Renzo Piano della mediana” del Belpaese tradiscono l’emozione di quello che appare un imminente addio al calcio italiano, dopo 20 anni quasi esatti di memorabili sinfonie dettate dalle sue perfette parabole. Grazie maestro e grazie Juventus, volti indimenticabili capaci di fare onore al calcio italiano nei più noti stadi di tutto il mondo.