Il trionfo della vanità

La Galleria Doria Pamphilj espone una preziosa rassegna sulla “vanità” nell’arte del Seicento. A Roma fino al 25 settembre
san girolamo di lorenzo lotto

Fortunati i principi Doria Pamphlj a custodire, intatta nei secoli, l’eredità preziosa della Quadreria antica, presente fin dal Seicento. Ricca di capolavori che non sono solo quadri e sculture, ma mobili, specchi, arazzi, pavimenti: insomma la reggia di una famiglia “papale”, che deve appunto a papa Innocenzo X la sua fortuna.

 

Il Seicento è il trionfo del barocco. Una civiltà che si immagina passionale e fantasiosa, piena di gioia di vivere. L’arte di un Bernini o di un Carracci o di Pietro da Cortona ne offrono splendidi esempi. Ma potremmo citare anche la poesia del Marino, la musica di Scarlatti, e non si finirebbe mai.

 

Eppure, questa epoca di sfarzo conosce e tratta in modo altrettanto presente il tema della caducità di tutto, del tempo che scorre inesorabile, della morte. Qualcosa di malinconico, di triste, di orrido anche, e nello stesso tempo di consolatorio, perché  è un’epoca di fede.

 

La piccola, ma preziosa rassegna sul tema della “Vanitas – tutto è vanità della vanità”, recita l’Ecclesiaste – racconta appunto questa meditazione pittorica su di un argomento che, a dire il vero, è sempre attuale, anche oggi in cui la vanità e la morte vengono esorcizzate da una artificiale ebbrezza di vivere.

 

La rassegna è divisa in tre sezioni. Nature, ritratti e infine la figura del cardinale Benedetto Pamphilj. Forse a noi oggi le tele di “nature morte” – siano animali (pesci o selvaggina) o fiori – che adornano così spesso i palazzi dell’epoca non dicono molto, ci sembrano soltanto elementi decorativi appesi alle pareti. Non è così.

 

A parte la bellezza delle pennellate, dei colori vivi, il trionfo della luce e della vita, queste tele nascondono – per noi, ma non per i contemporanei – un significato allegorico profondo: tutta questa bellezza e fioritura è destinata a passare, a finire. Sono certo da ammirare, ma con la coscienza che tutto ciò passerà. Il barocco è questo. Esalta la vita nella sua fragrante bellezza, ma ne conosce al contempo lo sfiorire. Esplosione di gioia e riflessione accorata vanno sempre insieme. Non si possono perciò ammirare queste tele come un puro atto estetico, ma come una riflessione sulla caducità di tutto.

 

Ci sono poi personaggi che della “vanitas” hanno fatto il centro della loro vita. La Maddalena e san Girolamo sono i santi che meglio l’hanno espressa nell’iconografia cristiana. Nella mostra sfilano perciò il san Girolamo di Lorenzo Lotto (nella foto), nudo come Cristo in croce e come lui appassionato, e poi le Maddalene: in particolare quella del Caravaggio e quella di Mattia Preti. La tela caravaggesca si pone sulla scia di una lunga tradizione iconografica, che vedeva la santa con il vaso dell’olio o dell’unguento in meditazione. Caravaggio la rappresenta in questo modo, ma in più si inventa un goccia di lacrima sull’occhio che è un risvolto psicologico nuovo ed originale, ad evidenziare la “contrizione”, che poi porta al “pentimento” e alla “confessione”.

 

Elementi religiosi che il genio ha la semplicità di rappresentare con assoluta umanizzazione. Anni dopo, sul 1650, Mattia Preti raffigura una Maddalena in preghiera, rapita nello sguardo al cielo, con grosse lacrime che le rigano il volto, e i capelli dorati che parlano di una antica bellezza destinata però ad essere vanificata dalla preghiera e dalla penitenza. Come è bello ciò che è bello, secondo l’anima barocca, ma come è bello soprattutto quando sta per morire.

 

Dopo le tele di artisti come Fetti, Ribera, Guercino, Chiesa, Carracci e Salimbeni, si arriva alla figura del cardinale Benedetto (1653-1730.) Questo letterato finissimo amava immensamente la musica di Haendel, allora giovane genio di stanza a Roma e nel palazzo del porporato. Le musiche del compositore sassone riecheggiavano negli oratori il tema della vanitas, ma con una tale gioia di vivere da rischiare di mettere sotto traccia l’argomento meditativo.

 

Ma questa è la doppia faccia della sensibilità barocca. Amava così tanto la vita da contemplarne i disfacimenti – la vanità – e nello stesso da esaltarne la gloria, la festa e la continuazione nella immortalità. Anche grazie all’arte.

 

Vanitas. Lotto Caravaggio Guercino nella collezione Doria Pamphilj. Roma, Palazzo di via del Corso. Fino al 25/9 (catalogo Silvana editoriale)

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