Il trionfo della democrazia cristiana (1945-1963)
Michele Marchi: In molti contesti nazionali europei, dall’Italia alla Germania passando per l’Austria, partiti politici che si richiamano direttamente alla democrazia cristiana diventano elementi cardine della fase di ricostruzione postbellica. Al di là del riferimento presente nel loro nome, quanto questi partiti rispondevano veramente, dal punto di vista ideologico, alle premesse culturali sviluppatesi dall’ultimo decennio dell’Ottocento (e ciò vale soprattutto per i partiti che facevano riferimento esclusivo alla Chiesa cattolica)? È possibile parlare di una matrice identitaria comune, “europea”, o al di là dell’appellativo sono le peculiarità nazionali a essere determinanti?
Paolo Pombeni: La risposta a tali quesiti è tutt’altro che semplice, soprattutto perché quell’ideologia della “ricostruzione” da cui traevano origine conobbe abbastanza presto dei cambiamenti sostanziali.
In termini generali bisogna ricordare che dopo il 1945 era scomparsa la problematica della marginalizzazione delle componenti sociali legate al cristianesimo, perché il pluralismo era tranquillamente accettato nell’Europa che si collocava fuori dell’orbita sovietica.
In secondo luogo, i partiti cristiani si sarebbero trovati a essere il contenitore elettorale entro cui confluivano oltre alle componenti del tradizionale cattolicesimo sociale quote molto consistenti di quelle sezioni della società che in precedenza si erano orientate a sostenere i “partiti d’ordine”. I partiti democratico-cristiani tesero dunque a presentarsi, quasi ovunque, come il punto di mediazione fra la necessità di un profondo rinnovamento di sistemi politici, che la crisi bellica aveva mostrato non all’altezza dei tempi nuovi, e il mantenimento comunque di un sistema di valori e di coordinate che tenevano fuori ogni ipotesi di palingenesi rivoluzionaria.
Spesso a questo proposito viene citata una frase del leader del Mouvement Républicain Populaire (MRP) Georges Bidault (1899-1983) che spiegava la politica del suo partito come «governare al centro e fare, coi mezzi della destra, la politica della sinistra». Altri citano una altrettanto famosa definizione del leader della DC italiana Alcide De Gasperi, che parlava di «un partito di centro che guarda a sinistra».
Michele Marchi: Per semplificare, si può affermare che esista nel quindicennio successivo alla fine della Seconda guerra mondiale una linea di continuità che va dal partito della “democrazia cristiana”, da intendersi come partito moderato e della ricostruzione, al catch-all party.
Paolo Pombeni: Si tratta di passaggi che lasciano trasparire l’evoluzione ideologica che sul piano politico ebbero questi grandi partiti di massa.
Abbandonato l’orizzonte rivendicativo di uno spazio da garantire ai cattolici come minoranza in senso politico, essi si orientarono sempre più a proporsi come i fautori di una modernizzazione controllata e difesa contro le deviazioni di tipo radicale, puntando a mitizzare, in contrasto con le ideologie di sinistra, il ceto medio come perno del sistema politico.
Anzi, col tempo e grazie al successo delle politiche di ricostruzione economica, sostennero che la società si sarebbe sempre più strutturata sulla base di un ceto medio di ampie proporzioni (entro cui si faceva confluire anche quello che si sarebbe poi definito come l’affluent worker) che aveva agli estremi due fasce molto ristrette di super-ricchi e di poveri veramente indigenti. In questo contesto, sia pure con formule diverse, veniva progressivamente accettata quell’ideologia di compensazione fra promozione di un libero mercato e spazio di intervento statale riequilibratore che in Germania avrebbe assunto l’etichetta di “economia sociale di mercato” (promossa da un politico della CDU (Christliche Demokratische Union), Ludwig Erhard, che peraltro apparteneva alla componente del partito di fede protestante).
Non stupisce che a fronte di questa trasformazione lo scienziato politico Otto Kirchheimer (1905-1965) elaborasse, proprio a partire dal successo e dalla ideologia della Christliche Demokratische Union di Adenauer, il concetto di catch-all-party, cioè “partito pigliatutto” nel senso di una formazione che era in grado di accogliere nel suo seno un ampio spettro delle fasce sociali, omogeneizzandole nel momento stesso in cui si faceva carico, per quanto possibile, delle principali esigenze di ciascuna.
Da Paolo Pombeni in dialogo con Michele Marchi, La politica dei cattolici, dal Risorgimento ad oggi (Città Nuova, 2015)