Il trionfo al momento giusto
E alla fine, come era facile prevedere, ha vinto Sebastian Vettel. O meglio, ha vinto la Red Bull, che da fine estate in avanti si è confermata – come negli anni scorsi – la macchina migliore. In termini di prestazioni, infatti, soltanto la McLaren (rapida sì, ma poco affidabile) ha saputo tenere testa al gioiellino creato da Adrian Newey, primo artefice dell’ennesimo trionfo della scuderia austriaca (en plein dal 2010: tre titoli iridati costruttori e altrettanti – sempre con Vettel – piloti).
Perché, non ce ne vogliano i suoi tanti sostenitori, il merito principale del tre volte iridato è stato quello di arrivare al posto giusto nel momento giusto. Il posto è il sedile Red Bull, il momento è il 2009, quando l’allora 21enne pilota tedesco sostituisce lo scozzese David Coulthard (ritiratosi dalle corse) al volante di una vettura che sta per iniziare un’incontenibile ascesa, portata al limite (e forse anche oltre: resta qualche dubbio su alcune esasperate interpretazioni del regolamento tecnico) dal fenomenale progettista inglese.
Intendiamoci: Vettel è un ottimo pilota, paragonato sin da ragazzo a Michael Schumacher – suo connazionale ed estimatore -, e titolare di una lunga serie di record di precocità (pilota più giovane ad aver ottenuto punti e pole position, ad essere salito sul podio, ad aver fatto segnare un giro veloce in gara, a essere partito più volte davanti a tutti in una singola stagione, a essere diventato campione del mondo e – da ieri – ad aver conquistato il titolo per tre volte di fila). Insomma, un predestinato: bravo, sì, ma anche piuttosto fortunato. Il film di questa stagione, del resto, lo conferma.
Sino a metà stagione, con una Red Bull normale, Vettel ha fatto fatica, e pareva tagliato fuori per il Mondiale. Poi, quando i suoi tecnici hanno «messo la freccia», non ce n’è stato più per nessuno. Una fortuna, se vogliamo, espressasi anche nella sfortuna di un ultimo gran premio stagionale iniziato come peggio non si poteva: partenza disastrosa e incidente alla prima curva col brasiliano Bruno Senna. Un botto del genere, solitamente, ti costringe al ritiro, come successo due volte quest’anno a Fernando Alonso. Il tedesco, invece, è riuscito a ripartire e a compiere una rimonta rivelatasi più semplice di quanto si potesse immaginare. A nulla, dunque, sono serviti gli sforzi di un commovente Alonso, il miglior Alonso di sempre (come ha sottolineato lo stesso pilota spagnolo a sconfitta acquisita).
Una stagione praticamente perfetta, con tre successi (l’ultimo, però, il 22 luglio in Germania, mentre Vettel ha ottenuto quattro delle sue cinque vittorie stagionali tra fine settembre e fine ottobre) e la bellezza di 13 podi (il pilota, ad esempio, ne ha conquistati “appena” 10) a bordo di una Ferrari che – ad esclusione di poche gare – si è dimostrata nettamente inferiore, soprattutto in qualifica, alle principali avversarie. Delusioni il sabato, e rimonte la domenica: gare sempre all’attacco, condite da uno spropositato numero di sorpassi.
Diciamo pure che l’Alonso del 2012 è paragonabile al miglior Senna e al miglior Schumacher, e avrebbe ampiamente meritato il titolo. A maggior ragione, se sottolineiamo che i due ritiri stagionali del ferrarista, sono avvenuti a causa di due tamponamenti subiti poco dopo lo start: doppio “zero” che – a conti fatti – ha pesato in maniera decisiva sul risultato finale.
Così, il Mondiale 2012 si conclude all’insegna del tre: terzo titolo consecutivo per la Red Bull e per Vettel, il quale chiude con tre punti di vantaggio su Alonso. Lo spagnolo, al terzo anno in Ferrari, vede sfumare il tris iridato all’ultima gara, cosa che avviene per la terza volta consecutiva (i precedenti nel 2007, con Raikkonen campione, e nel 2010). Lo stesso, dicasi per il Cavallino, arresosi al fotofinish per la terza volta di fila dopo le delusioni 2008 (Massa battuto da Hamilton) e 2010. La fortuna, prima o poi, girerà. Sempre che quel geniaccio di Newey non ne inventi un’altra delle sue.
Cesare Cielo