Il titano insicuro
È il titolo dello spettacolo che, dopo il festival di Spoleto, è approdato a Roma – stasera l’ultima recita – alle Terme di Caracalla.
Valerio Cappelli e Mario Sesti hanno scritto il testo di una intervista immaginaria al grande direttore Carlos Kleiber. Per molti suoi colleghi, il massimo di tutto il ‘900: più grande di Toscanini, Furtwangler, Karajan, ossia i mostri sacri della direzione d’orchestra!
Personaggio solitario e sfuggente, difficile: non ha mai lasciato una intervista, dirigeva solo un mazzo di lavori (mai la Nona di Beethoven, soltanto due sinfonie di Brahms, mai il Don Giovanni di Mozart, più volte Il cavaliere della rosa di Richard Strauss, e di Verdi solo Traviata e Otello…), cioè quelli che gli piacevano.
Ma non era la mossa di un personaggio eccentrico. Kleiber, diventato direttore nonostante l’opposizione del padre Erich, grandissimo direttore anche lui, era celebre per le sue fughe improvvise, i contratti inevasi, la passione per le macchine sportive e la voglia di una vita libera e ritirata dal clamore. Ma quando si dedicava ad una partitura, lo scavo era formidabile. Capiva al volo tutto di essa e le poche documentazioni delle sue prove ne sono una testimonianza: parlava agli orchestrali con metafore argute, faceva riprovare più volte una sfumatura, aveva un gesto che suscitava e diceva l’onda musicale. Straordinario i l suo Wagner (Tristano e Isotta), il suo Verdi (Traviata e Otello), ma non ha mai voluto dirigere il Parsifal: non ce l’avrebbe fatta per la tensione.
I due autori hanno ricostruito l’intervista basandosi sui celebri “Kleibergrammi”, ossia le centinaia di bigliettini che lasciava ai musicisti e ai cantanti con cui lavorava. Essi, insieme agli aneddoti – diversi ne ha raccontato Riccardo Muti, suo grande amico – hanno fornito il materiale per la pièce che due straordinari attori come Remo Girone (Kleiber) e Anita Bartolucci (l’intervistatrice) hanno rappresentato, con la regia misurata di Pier Luigi Pizzi. Tra le proiezioni di brevi filmati delle sue prove, e il dialogo ora spiritoso ora bizzarro ora focoso dei due, lo spettacolo è stato trascinante, anche per chi non conosceva Kleiber, scomparso nel 2004.
Era un titano della musica, sicuramente, ma fragile. Non aveva la durezza di un Toscanini ( non apprezzava il suo stile con l’orchestra), i colori di un Karajan, ma possedeva, come lo spettacolo evidenzia con cura, una qualità, rara nei direttori: considerava la necessità di essere fusi in una sola unità direttore e orchestra. Per far posto alla musica.
Commovente. E i frammenti della discografia e delle videografia lo dicono.
Grande successo, meritato, in particolare per Girone, capace di sfumature caratteriali e psicologiche di rara intensità.