Il tip tap della manovra
Annunci, smentite, modifiche, soppressioni. Continue mutazioni di provvedimenti finanziari. Che generano sconcerto.
Tribolazioni straordinarie stanno accompagnando il varo definitivo della manovra-bis, germogliata essa stessa da una tribolazione. Lo ricordiamo: a metà luglio, un primo intervento sui conti, eccezionale quanto alle modalità di approvazione (cinque giorni in tutto per il voto delle due Camere), aveva fatto pensare che almeno per l’anno in corso si potesse stare tranquilli. E invece gli attacchi ripetuti ai titoli di Stato nostrani da parte degli speculatori e non solo (non dimentichiamo che persino la Deutche Banke si è disfatta dei titoli italiani) hanno riportato drammaticamente d’attualità la tenuta della finanza pubblica e quindi la necessità di ulteriori interventi.
I primi annunci facevano riferimento ad un nuovo decreto legge che avrebbe dovuto anticipare al 2012 le misure già previste per gli anni 2013-14 dal provvedimento appena varato, inclusa l’anticipazione del pareggio di bilancio, da raggiungere nel 2013. Quest’ultimo obiettivo rendeva necessario ridurre drasticamente la percentuale che individua l’entità del disavanzo tra le entrate e le uscite, in rapporto al prodotto interno lordo (quello che comunemente si denomina “rapporto deficit-pil” e che col pareggio sarà uguale a zero). Pertanto, il nuovo provvedimento doveva intervenire con misure capaci di ridurre ulteriormente la spesa, ma di certo anche con altre in grado di accrescere le entrate.
Un lavoro di enorme difficoltà, sul quale vigilava l’occhio attento dell’Unione europea, da dove addirittura è provenuta una nota con l’elenco dei provvedimenti attesi. Nonostante queste indicazioni (da valutare positivamente e non come “commissariamento” dell’esecutivo italiano), il governo ha faticato non poco a trovare “la quadra” ed a varare il “decreto di ferragosto”. Dopo discussioni, ipotesi, smentite e veti incrociati protrattisi fin dentro il Consiglio dei ministri, finalmente l’illustrazione del contenuto del decreto-legge, fatta dal presidente Berlusconi e dal ministro Tremonti in conferenza stampa.
A voler ridurre il tutto allo schematismo “ipotesi Berlusconi contro ipotesi Tremonti” che aveva dominato i giorni e le ore precedenti, si può riassumere dicendo che aveva vinto la linea Tremonti: niente aumento dell’Iva e invece contributo di solidarietà dai percettori di redditi superiori a 90 mila euro, tassazione delle rendite finanziarie, nessun intervento sulle pensioni (qui il veto era leghista), timidi cenni al superamento del livello amministrativo provinciale e dei piccoli comuni. Misure annunciate dal premier col «cuore grondante sangue» per aver dovuto «mettere le mani nelle tasche degli italiani». Una gran fatica, entrata in vigore in un torno brevissimo di tempo e… tornata di nuovo in discussione dalle fondamenta dopo poche ore.
Eh sì, perché mentre si cercava di capire quale sarebbe stato l’atteggiamento delle opposizioni, se avrebbero di nuovo consentito un’approvazione-lampo, si è aperto sulla manovra il fuoco amico. Da alcuni parlamentari del pdl dell’ala più liberista e “berlusconiana” (ribattezzati “frondisti”: Crosetto in testa) è giunto il primo niet, motivato con l’insufficienza dei tagli e la mancanza di misure per la crescita. Sono bastate le prime dichiarazioni (ed i primi sondaggi) e la manovra si è rivelata un castello di carta. Eccoci quindi spettatori alquanto attoniti di quello che accade in Senato, dove si svolgono i lavori di “prima lettura” per l’approvazione parlamentare del provvedimento.
Non tenendo evidentemente in conto il fatto – non piccolo! – che la manovra è stata varata con la forma del decreto-legge, vigente sin dal 13 di agosto, e che su di essa l’Europa aveva dato un giudizio positivo, negli ultimi due giorni abbiamo assistito allo stravolgimento delle misure portanti: l’abolizione seppur parziale delle province, l’accorpamento dei piccoli comuni e il contributo di solidarietà dei redditi più alti. Almeno questi sono stati gli annunci dopo il lungo vertice di maggioranza svoltosi ad Arcore per una intera giornata.
Come sono compensate queste minori entrate? Non è ancora chiaro. Si era parlato di alcuni interventi sulle pensioni, relativamente al riscatto degli anni di laurea e di servizio militare, ma sono durati lo spazio di una nottata: un contro-annuncio ha comunicato che sono stati cancellati. Per inciso: per le province si è enfatizzato che l’abolizione è divenuta totale ed è accompagnata dalla riduzione del numero dei parlamentari; bisogna però tenere a mente che si tratta di un disegno di legge costituzionale con ben poche speranze di approvazione; ma ne seguiremo le sorti. Per il resto, rimane la generica enunciazione delle “misure di lotta all’evasione” (qualche voce maligna fa circolare la parola “condono” in varie salse) e… la solita ipotesi dell’aumento dell’Iva. Quest’ultima misura è però fortemente osteggiata dal ministro Tremonti, più che per ragioni di teoria economica (produrrebbe effetti depressivi e inflattivi), per ragioni di mera cassa: l’aumento dell’IVA infatti è già in programma per i prossimi provvedimenti, speriamo strutturali (riforma fiscale?).
Ma la partita è ancora aperta e non sappiamo come andrà a finire; registriamo, di volta in volta, le reazioni dei sindacati, di confindustria, delle varie categorie toccate dall’uno o dall’altro provvedimento e l’impressione finale (meglio: il timore finale) è che si corra dietro ai sondaggi, mentre si cerca di comporre il sudoku ad elevata difficoltà che è divenuta, oramai, la compagine governativa. Eppure, le parole attorno a cui costruire il tutto sono state dette e ripetute: rigore e crescita. Più equità. È davvero urgente recuperare almeno un po’ di questa visione, prima che la crisi dell’economia investa ancor di più il nostro Paese. Sarebbe necessario anche per rendere i cittadini, sui quali gravano gli oneri maggiori, più consapevoli e partecipi di un progetto di rilancio, piuttosto che sentirsi una specie di bancomat.