Il terrorismo si può vincere
Oramai, a tutti i livelli ufficiali, si parla di guerra al terrorismo ed è invalso l’uso di definire l’attuale terrorismo come terrorismo internazionale. Questa tendenza ha avuto inizio dopo l’11 settembre 2001 con gli attentati di Al Qaeda negli Stati Uniti. Prima di allora tutto era quieto. C’erano già da lungo pezzo il terrorismo dell’Ira, quello dell’Eta, quello palestinese, in Italia quello delle Br, ecc.; ma nessuno, in particolare gli Stati Uniti, aveva parlato di terrorismo internazionale e di guerra al terrorismo. Ci furono, l’11 settembre, gli attacchi di Al Qaeda contro gli Stati Uniti; e in quella circostanza si parlò di attacco all’America: così titolarono giornali e telegiornali all’indomani. Poi è passato il tempo, e dei tre attacchi portati simultaneamente da Al Qaeda contro i centri di potere americani – quello economico nelle Torri Gemelle, quello militare al Pentagono, e quello, non riuscito, contro il centro di potere politico (la Casa Bianca) – riduttivamente si è parlato più solo dell’attacco alle Torri Gemelle, caricandolo sempre di più del significato di terrorismo puro, e non parlando più di atto di guerra di un gruppo di potere arabo (non islamico) contro gli Stati Uniti. In verità, ciò che colpisce e che ha segnato una svolta epocale nella storia dell’umanità è la natura suicidaomicida dell’atto, che ha fatto parlare di una irruzione del Male nella storia del mondo, che può essere fronteggiata soltanto da un’irruzione del Bene, che coinvolga gli stessi autori del gesto che è contro l’umanità perché nega il legame di unità degli stessi terroristi all’unica famiglia umana. C’è da chiedersi, ora, cosa si intende per terrorismo internazionale. Non sembra che tale qualifica possa attribuirsi ai diversi terrorismi locali, che conosciamo da lunga data, né è dimostrato un legame anche solo di mutua assistenza tra tali terrorismi e quello di Al Qaeda (per esempio, non è risultato che nella strage di Madrid dell’11 marzo scorso ci sia stato un collegamento tra i terroristi baschi e quelli che hanno compiuto l’orribile atto). Dunque, bisogna riconoscere che c’è un solo terrorismo internazionale – non per matrice, ispirazione, finalità, ma unicamente per la sua estensione transnazionale – ed è quello di Al Qaeda. Questo terrorismo, infatti, ha una matrice araba; è l’espressione di un preciso gruppo di potere che agisce contro gli Stati Uniti per scalzarne la presenza in Medio Oriente, vale a dire nella zona del petrolio, e che, alla lunga, vorrebbe soppiantare l’egemonia americana in quella regione. Se così stanno le cose non si dovrebbe parlare genericamente e confusamente di guerra al terrorismo internazionale. Bisognerebbe isolare i singoli terrorismi e trovare per ciascuno i modi per vincerli; e questi modi non sono soltanto quelli della repressione, che dovrebbe essere esercitata in maniera intelligente e mirata, ma anche e anzitutto quelli politici, che dovrebbero tendere all’isolamento politico dei gruppi che sono dietro i singoli terrorismi. A tutti gli attenti osservatori politici non è sfuggito il fatto che nella vicenda della liberazione delle due giovani italiane (le Simona) si sia riscontrato l’assoluto silenzio della Casa Bianca: non una parola di commento. Perché? D’altra parte, bisogna dare atto al governo Berlusconi di essersi mosso con avveduta intelligenza e indipendenza: infatti è stato completamente ignorato il governo provvisorio iracheno e sono stati invece coinvolti i paesi arabi moderati (vedi: Giordania), né sembra sia da escludersi una intermediazione di capi religiosi iracheni (gli ulema). E allora non può sfuggire il significato politico dell’operazione, che, ripeto, va a merito anche delle autorità italiane. A mio avviso essa dimostra la possibile strada per risolvere politicamente il problema iracheno e per isolare il terrorismo di Al Qaeda, che, ripeto, è l’unico vero. Nella campagna elettorale americana per le elezioni presidenziali del 2 novembre prossimo Bush continua a proclamare che gli Stati Uniti faranno da sé per assicurare la propria difesa, e che le decisioni al riguardo non saranno mai prese in una capitale estera ma solo nella sala ovale della Casa Bianca. A me sembra che queste prese di posizione siano di assoluta cecità. Gli uomini dell’amministrazione Bush sembrano ignorare che gli Stati Uniti hanno dapprima sconfitto il nazismo e poi vinta la guerra contro la gravissima minaccia del totalitarismo comunista sovietico alleandosi con l’Europa e con le altre nazioni libere, creando poi le Nazioni Unite. Come pensano quegli uomini di sconfiggere il terrorismo globale di Al Qaeda isolandosi dal resto del mondo? Dunque bisogna isolare politicamente Al Qaeda, togliendogli l’alibi della difesa del mondo islamico e mettendone a nudo la volontà di potenza. Per questo motivo ho detto che la strada seguita per la liberazione delle due italiane può indicare un modo diverso di affrontare e risolvere il problema iracheno, che non l’occupazione armata di tutto il territorio di quel paese, come rimane ancora fra le possibili opzioni degli americani; allora sì che essi potrebbero andare incontro ad un nuovo Vietnam. E poi, quale prezzo dovrebbe pagare il mondo libero sul piano economico? (vedi, per esempio, rincari del petrolio). E a proposito del petrolio: a me sembra che rimanga questa la vera posta in gioco. A questo riguardo sarebbe veramente auspicabile – e potrebbe inaugurare un nuovo ordine internazionale – che il controllo di questa principale fonte di energia fosse affidato ad un’autorità sovranazionale, un po’ come è avvenuto storicamente per l’Europa con l’istituzione della prima Comunità economica europea, quella del carbone e dell’acciaio (Ceca), allo scopo di evitare nel futuro le continue lotte fratricide tra Germania e Francia per il controllo delle predette risorse strategiche. Non si potrebbe pensare a qualcosa di analogo per la gestione del petrolio a livello mondiale?