Il terremoto in Ecuador e i criteri di notiziabilità

Stato di emergenza nel Paese dell'America Latina, con centinaia di morti. Ma la notizia trova poco spazio sui media. Quali criteri muovono la nostra attenzione? Un forte invito alla solidarietà verso una popolazione generosa e gentile
Ecuador

Ai corsi di giornalismo, tra le regole che si insegnano agli aspiranti cronisti, c’è la notiziabilità. Quell’insieme di caratteristiche, cioè, che un fatto deve avere per poter diventare notizia. Soprattutto per la cronaca nera, più un evento accade nelle vicinanze, più diventa interessante, dunque notiziabile.

Al contrario, più un evento è geograficamente e culturalmente distante, più viene scartato o passa in secondo piano. Si potrà tacciare questa regola di cinismo, ma si basa sui gusti dei lettori, dunque dovrebbe quantomeno interrogarci su ciò che ci interessa, leggiamo e guardiamo in tv.

Succede dunque che, sabato notte, si verifichi un terremoto in Giappone potenzialmente devastante: dopo centinaia di scosse, ne arriva una di 7,3 gradi della scala Richter, pari o superiore – per capirci– al IX grado della scala Mercalli, un po’ come il terremoto di Messina e di Reggio Calabria, che costò la vita a circa centomila persone. La notizia del Giappone fa capolino nelle cronache dei tg, ma solo fino a quando viene scongiurato il rischio tsunami. Poi, gli oltre 40 morti e i dispersi, passano in secondo piano.

Accade però, che poche ore dopo, un terremoto ancora più devastante, pari a 7,8 gradi della scala Richter, scuota l’Ecuador, dall’altra parte del nostro mondo, un po’ più in alto rispetto all’Argentina di papa Francesco.

 

Il Paese si ritrova lacerato, ferito. Il presidente Rafael Correa, in visita in Vaticano, rientra con urgenza, mentre il vicepresidente Jorge Glas coordina i soccorsi e gli ecuadoriani cercano di raggiungere le vittime, scavando tra i mucchi di macerie soprattutto nel Nord del Paese, nella provincia di Manabì, vicina a quella di Esmeraldas. I morti si accumulano, ma non fanno notizia. Arrivano a 200, superano questa cifra, sfiorano i 300 e solo allora conquistano i titoli di copertina.

 

Con dolore penso a “mi lindo Ecuador”, un Paese florido e meraviglioso dove, narra una leggenda, se pianti un manico di scopa, lo vedrai diventare un albero da frutto. Il Paese delle Galapagos, le bellissime isole che ispirarono la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin. Penso all’Ecuador e alla sua bella gente, sorridente, accogliente, e ora più che mai bisognosa dell’aiuto e della solidarietà di tutti. Nelle zone colpite, tutte aree ad alta concentrazione turistica, sono crollati anche molti alberghi: per avere il bilancio reale delle vittime bisognerà probabilmente attendere a lungo.

 

Nel frattempo, la macchina dei soccorsi si è messa in moto, è scattata la richiesta di volontari del settore sanitario: medici, infermieri, psicologici; e immediata è stata anche la solidarietà di molti Paesi, non soltanto del continente americano. Il presidente Correa, con messaggi sui social network, sta provando a rassicurare il Paese e gli ecuadoriani, ringraziando nel contempo il mondo intero per la solidarietà ricevuta, che si spera non sia solo estemporanea.

Ma tra le tragedie ignorate o quasi dai media ce n’è anche una accaduta, qualche giorno fa, in Etiopia, nel cuore dell’Africa, dove circa 140 persone sono state uccise, e molti minori rapiti, in un piccolo villaggio del Nord, ad opera di milizie armate provenienti, secondo le autorità etiopi, dal Sud Sudan.

 

Il massacro sarebbe dovuto alla contesa di terreni per il pascolo, in aree inaridite dalla prolungata siccità, che sta mettendo in ginocchio migliaia di persone. Ma anche di questo, dalle nostre parti, si parla poco. Un vero peccato e uno stimolo ad informarci di più e meglio!

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