Il teorema dell’asino
Per ogni cosa ci affrettiamo a trovare una spiegazione, a rafforzare una certezza, a proporre un commento univoco. E se tornassimo invece a coltivare l’arte del ragionevole dubbio?
In ogni giornale che apro al mattino, nelle conversazioni con gli amici, nella comunicazione pubblica, così come nelle dinamiche di gruppi e comunità, il “teorema dell’asino” domina come paradigma incontrastato.
Ce lo spiega quell’antica storiella – molto nota ma sempre attuale – che racconta di un padre, di un figlio e del loro asino che si recano in città per fare acquisti. Al loro passaggio un villico li vede ed esclama: «Che sciocchi, vanno a piedi mentre hanno un asino che potrebbe trasportarli». Ecco che prontamente i due salgono sul mulo. E una brava donna dopo averli squadrati, commenta: «Che egoisti, in due su quel povero asino così affaticato». Allora il padre decide di scendere e di lasciare solo il figlio sopra l’asino. E un vecchietto bizzoso vedendoli si indigna: «Che tempi tristi, il giovane sull’asino e l’anziano a piedi». Il padre allora fa scendere il figlio dall’asino e sale sul destriero. Ed ecco un garzone che sobbalza al vederli ed esclama: «Che padre egoista, riposa sull’asino e costringe il figlio a camminare». Il padre, affranto, riflette su come evitare ulteriori malevoli commenti. Arrivato al mercato, decide di vendere l’asino e tornare a casa a piedi con il figlio. Non ha comprato nulla, non ha più l’asino necessario al lavoro, ma tutti quelli che incontra lo salutano sorridenti.
La morale della storiella viene spesso semplificata con il motto «vivi sereno e non curarti del giudizio degli altri». Un’indicazione che ha sempre una sua validità: tenere troppo in conto il giudizio degli altri può indurci a comportamenti gregari e compiacenti o a uniformarci acriticamente alle attese del prossimo. Ma forse la storiella può anche essere letta diversamente, se la guardiamo dal lato dei “commentatori affrettati”. È difficile resistere alla tentazione di valutare (soltanto) con un proprio metro personale e da una sola angolatura le scelte e i comportamenti degli altri. Per ogni cosa ci affrettiamo a trovare una spiegazione, a rafforzare una certezza, a proporre un commento univoco. I comportamenti vengono inseriti rapidamente dentro caselle precise, al riparo dal mistero delle insondabili ragioni che muovono l’agire di ciascuno.
E se tornassimo invece a coltivare l’arte del ragionevole dubbio? Quel dubbio che ci fa intravvedere che sono sempre molte le angolature da cui è possibile guardare le cose, che nessuna è in grado di cogliere la realtà pienamente, che spostare il punto di osservazione ci consente di capire meglio la realtà. Al povero contadino, l’asino serviva solo per portare le mercanzie al ritorno dal mercato. Nulla di più.