Il tempo dell’incontro

Maria Voce, presidente dei Focolari, in visita a Gerusalemme. La ricchezza delle molteplici relazioni, a cominciare da quelle tra cristiani
Cupola d'oro spianata moschee

È il patriarca latino, mons. Foud Twal, che dà il tono agli appuntamenti che Maria Voce ha in agenda nella sua visita a Gerusalemme iniziata tre giorni fa: «Le preoccupazioni della gente sono le nostre. Sembra che l’ascesa al Calvario non abbia mai fine qui in Terra Santa». Ma non bisogna scoraggiarsi: «La speranza non muore mai. Ad esempio, osservo di questi tempi che ci sono cento e più associazioni che raccolgono ebrei, cristiani e musulmani da queste parti. Tutta gente che vuole dialogare. Avverto che poco alla volta, forse a causa del tanto dolore patito, si comincia a parlare di “vicini” e non più solo di “nemici”». Maria Voce riprende: «Se nell’istinto di difesa delle persone entra una briciola di amore, ecco che si fa un passo in più, si va avanti», senza cedere alla disperazione. Conclude il patriarca: «Questa è la specialità di noi cristiani, seminare amore e andare avanti».

 

Stesso sfondo di sofferenza ma anche di fiducia nel colloquio che la presidente ha con il vescovo luterano Munib Younan, presidente della Federazione luterana mondiale: «Avverto nella gente – esordisce – la forte tentazione di occuparsi solo di cose materiali. No, qui c’è bisogno di Dio». E specifica: «Abbiamo bisogno di una profonda spiritualità, per i nostri figli e per noi stessi, una spiritualità profondamente evangelica». Maria Voce fa notare come una tale spiritualità auspicata dal vescovo sia naturalmente ecumenica. «Musulmani ed ebrei – aggiunge Younan – non si preoccupano di capire se siamo cattolici o luterani. Siamo innanzitutto cristiani». «E l’unità è la nostra forza», dice la presidente dei Focolari. E il vescovo Younan: «Quel che ci unisce è tutto, è Gesù Cristo».

 

Al Patriarcato armeno apostolico, Maria Voce s’intrattiene con il vescovo Aris Shirvanian, che passa gran parte del suo tempo al capezzale dell’anziano patriarca, novantaduenne, Torkom I Manughian. Una Chiesa in forte arretramento è quella armena, con 1500 fedeli a Gerusalemme e 20 mila in tutta la Terra Santa. Ma una Chiesa indomita: gli armeni ne hanno viste di ben peggiori nella loro storia: «Dobbiamo essere uniti per difendere la Chiesa cristiana – dice –, ma non posso dire che esistano problemi particolari per noi armeni, perché continuiamo a vivere per mantenere la nostra fede, la nostra eredità». Maria Voce sottolinea la grandezza di questa vocazione. «Sì – riprende il vescovo –, bisogna difendersi, ma ancor più cercare di essere “ponti” tra le Chiese, ponti tra le religioni, ponti tra i popoli».

 

Calorosa accoglienza, alla libanese, all’arcivescovado maronita della Terra Santa, una comunità di circa 10 mila fedeli, soprattutto in Galilea, dove il vescovo mons. Paul Nabil Sayah sottolinea come anche la forma qui sia fondamentale: «Chi ha fretta qui non ottiene nulla. Bisogna avere uno stile conviviale nelle relazioni, tornare sulle questioni, cercare sempre di sottolineare quello che unisce». Maria Voce annuisce e rilancia: «È lo spirito del vero dialogo, quello che ama disinteressatamente e, proprio per questo, colpisce». Il vescovo maronita sottolinea ancora l’importanza della dimensione pastorale dell’azione delle Chiese cristiane in Terra Santa, in particolare nella famiglia e per la famiglia: «Non si dà mai abbastanza spazio all’educazione, che per noi è la vera priorità. Con una buona educazione poi si può sperare di arrivare alla pace». Il desiderio di cooperare viene ribadito anche da Maria Voce.

 

Infine, visita di rilievo al patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, dove Sua Beatitudine il patriarca Theophilos III riceve Maria Voce e i suoi collaboratori. Chi conosce la storia sa bene tutti i conflitti che hanno opposto in passato le diverse Chiese presenti in Terra Santa. Il clima è certamente migliorato, anche se parlare di un “vero ecumenismo” è ancora talvolta difficile. Ma nel colloquio tra il patriarca e la presidente si respira il desiderio di “alzare il tono della discussione”, ancorandosi «all’unità dei cristiani “in Cristo”, nel suo amore», come precisa Theophilos III. Maria Voce spiega cosa voglia dire “unità” per i focolarini, «l’unità che Gesù ha chiesto alla sua Chiesa». In questo spirito il patriarca raccomanda a Maria Voce di occuparsi in particolare dei giovani, che sono sbandati troppo spesso, «in un mondo che non conosce Dio». E riferendosi all’attuale situazione politica e sociale della regione, vuole sottolineare il grande lavoro svolto dal patriarcato per una convivenza pacifica nella regione, sia coi musulmani che con gli ebrei.

 

«Nessuno ti chiamerà più “Abbandonata”, né la tua terra sarà più detta “Devastata”, ma tu sarai chiamata “Mio compiacimento” e la tua terra, “Sposata”, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo». Ripenso a questo passaggio del profeta Isaia (62, 4) al termine della lunga giornata del 14 febbraio, trascorsa su e giù per le scale di Gerusalemme, per assistere ai diversi incontri con i responsabili di alcune Chiese cristiane che Maria Voce, la presidente dei Focolari in visita in Terra Santa, ha voluto mettere in agenda quest’oggi. Ripenso ad Isaia perché, in questa città travagliata come nessun’altra al mondo – in cui i tre monoteismi si scontrano ancora, dove le Chiese cristiane sono spesso ridotte a poca cosa e in cui la precarietà della vita pesa sui cuori degli uomini e delle donne che la abitano –, la sola via di salvezza appare la relazione, lo “sposalizio” delle persone che rendono Gerusalemme non più “abbandonata”.

 

 

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