Conosco Laura Tebaldi, chiamata Teba, da molti anni perché il suo negozio è situato accanto alla casa dove abito, ma solo da poco siamo diventate amiche e ho avuto modo così di conoscere ed apprezzare il suo lavoro artistico entrando nell’affascinante mondo dei tatuaggi.
Ho deciso perciò di intervistarla per condividere tutto ciò che ho appreso durante il nostro colloquio. È necessario fare però una piccola premessa per conoscere qualcosa in più del tattoo.
Il tatuaggio è un disegno permanente fatto sulla pelle attraverso l’introduzione di pigmenti di diverso colore mediante aghi e taglienti. Il termine ha una derivazione tahitiana, da tatau che significa “incidere, decorare”. Il tatuaggio ha avuto un lungo e interessante percorso e ha accompagnato l’umanità fino ai giorni nostri. Oltre alle ragioni strettamente estetiche, veniva praticato come segno di appartenenza ad un gruppo sociale, religioso, etnico… così come per proteggersi da influssi malefici e da malattie, per definire differenze di genere o di rango, come “marchio” stigmatizzante per schiavi e criminali, o come forma di trasgressione.
Con il passare del tempo è diventata una forma d’arte sempre più popolare, sempre più accettata e rispettata, conquistando ogni strato sociale e ogni fascia d’età. La sua diffusione è in crescita, favorita anche dalla popolarità dei personaggi pubblici, che hanno tatuaggi in varie parti del loro corpo. Nel corso degli anni sono cambiate e migliorate sia le tecniche di tatuaggio sia il ruolo del tatuatore.
Sono davanti all’ingresso del negozio. Suono e mi apre Laura, sorridente come sempre. Entro in un ambiente ampio, ben arredato, in cui predominano due colori: il rosso e il nero. Si respira arte, fantasia, giovinezza, allegria. Alle pareti specchi e poi quadri, tele dipinte da lei. Sono stanze ampie, accoglienti, pulitissime e luminose. L’intervista ha inizio.

Esterno di Don’t Tell Mama, il locale della tatuatrice Laura Tebaldi.
Chi è Laura?
Sono una persona allegra, solare, anche se sono sempre vestita di nero. Amo la vita, la parola “felice” è quella che mi rappresenta appieno, ogni mattina inizio la giornata, il mio lavoro con gioia. Ringrazio per quello che ho e cerco di non lamentarmi mai. Il mio difetto, che considero anche un pregio, è che sono testarda ed impulsiva.
Com’eri da ragazza, che studi hai fatto?
Nata a Parma, dove vivo tuttora, fin da bambina la mia passione era il disegno. Così, dopo le medie, mi sono iscritta alla Scuola d’Arte Liceo Toschi. Un giorno ho mostrato i miei disegni ad un signore che lavorava come tatuatore, lui mi ha preso come apprendista e mi ha incoraggiata a proseguire.
Io tuttora dipingo ad olio. Non avevo mai immaginato di fare la tatuatrice, pensavo di iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti a Bologna per diventare restauratrice. La voglia di provare però è stata più forte e così mi sono messa in gioco.
Il mio primo tatuaggio me lo sono fatta da sola con la china e un compasso. Tatuare è difficile, non è un lavoro che si può improvvisare, ma se parti da una base artistica sei avvantaggiato. Io ci dedico la vita: è un mestiere in cui non puoi distrarti né perdere la concentrazione.
Perché hai scelto di dedicarti a questa attività?
In realtà, il desiderio di dedicarmi al tattoo è nato gradualmente. La pelle è un supporto differente da una tela o da un foglio, ma ti dà modo di dare vita ad una cosa artistica. Il bello è che il tatuaggio praticato da me per hobby è diventato un lavoro vero e proprio.
Dopo il mio apprendistato come tatuatrice, a 23 anni, proprio grazie alla mia testardaggine, ho affittato un vecchio negozio. Pur essendo preoccupati, i miei mi hanno lasciata libera di seguire la mia strada e mi hanno incoraggiata.
Mio padre è dentista e mia madre gestiva allora una lavanderia. Un mio carissimo amico ha creduto in me e mi ha prestato i soldi per poter iniziare, e ho arredato il negozio a poco a poco.
Quanto conta avere una famiglia che ti sostiene nel tuo lavoro?
Conta molto. Ho conosciuto il mio compagno, con il quale convivo da parecchi anni, frequentando la Scuola d’ Arte. Lui fa il grafico, è diverso da me, non ha neanche un tatuaggio perché non riuscirebbe a vedersi con qualcosa che dura tutta la vita. Si veste bene con colori moderni. C’è sintonia tra noi e tanto amore. Lui e mio figlio di 5 anni, mi danno la carica.
Anche mio figlio non è affascinato dal mondo del tattoo, però comincia a porsi qualche domanda. L’altro giorno mi ha chiesto se da grande è obbligato a farsi tatuare… Naturalmente ho riso e l’ho rassicurato.

Interno di Don’t Tell Mama, il locale della tatuatrice Laura Tebaldi. Foto: Annamaria Carobella.
Sono rimasta colpita dall’impegno e dalla passione con cui svolgi il tuo lavoro, Laura! Quanto è importante per te?
Questo negozio, il lavoro stesso è il mio primo figlio. Ho bisogno di stare qui dentro, mi sento a casa, ho raggiunto un equilibrio perfetto. Rappresenta la mia dimensione, la mia stabilità. Ho un legame stretto, è diventata una parte importante della mia vita, non riesco ad immaginarmi altrove.
Perché sono importanti i rapporti con chi frequenta questo ambiente?
Non è facile avere rapporti con il pubblico, anche se io mi impongo di avere rispetto verso chiunque. Tutti i giorni incontro persone diverse e devo stabilire un contatto. Penso che il tatuatore deve mettersi in ascolto del cliente, non può permettersi di fare quello che vuole.
Io non vendo un prodotto, chi entra qui spesso non sa neanche cosa tatuarsi, e allora devi pian piano ascoltarlo bene per capire quali sono i suoi gusti in modo da poterlo consigliare ed accontentare. Lui si fida di te, dei tuoi consigli, ti lascia libertà artistica, ti dà un pezzo della sua pelle.
Non è un taglio di capelli, il tatuaggio è qualcosa che rimane per sempre. Per me ogni tatuaggio è diverso, richiede dedizione e passione. Per tanti è pura estetica, per molti altri è pieno di significati e sono coinvolti emotivamente.
Io cerco di mettere chiunque a proprio agio, perché mi metto nei panni di chi mi sta di fronte, immagino cosa c’è dietro una richiesta di un certo tipo. Sono cresciuta con questa attenzione e cura verso l’altro, mentre vedo che alcuni miei colleghi sono più distaccati.
Quale messaggio può veicolare questo mondo, che tanti non conoscono o guardano con sospetto perché pieni di pregiudizi?
Sì, è vero! Nel 2025 c’è ancora qualche pregiudizio verso questo mondo. Chi si tatua non è un criminale o uno strano, stravagante. Ciò che dà fastidio è quello sguardo quasi di disgusto verso chi è tatuato. Questo mi dispiace parecchio.
Un tatuaggio è come un vestito che uno sceglie di indossare. Prima mi offendevo e mi arrabbiavo se ciò succedeva. Ognuno ha i propri gusti, ma a volte la paura della diversità blocca i rapporti e la possibilità di conoscersi e di comprendersi reciprocamente.
Il messaggio che vorrei lanciare è quello di vivere la vita senza pesantezza, senza giudizi, essendo felici, dandosi una mano, essendo sé stessi, non nuocendo agli altri. Il mondo del tatuaggio può trasmettere libertà, ma anche un senso di appartenenza ad un gruppo.
Essere liberi da pregiudizi è importante perché ti apre al mondo, agli altri: chi è chiuso mentalmente è come se si chiudesse alla vita. Non è questione di età.
Laura mi cita improvvisamente una frase del filosofo Umberto Galimberti: «Per creare qualcosa non basta la ragione, bisogna scendere nella propria follia e così cominciare il fenomeno dell’ispirazione in uno stato d’entusiasmo. È necessario cercare un dio dentro di sé: è la follia che fa creare le opere d’arte».
Ci salutiamo, ma porto con me la meraviglia di quanto ho scoperto: il tatuaggio è un pezzo di pelle che racconta un pezzo di vita, un sentimento, un dolore, un ricordo, una data, un’emozione, un nome. I tatuaggi sono come storie di momenti importanti della propria vita.
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