Il talento di ascoltare
Ciò che ho imparato dalla mie due amiche barbone.
Dal reparto infettivi: «Francesco, la Caterina ha chiesto di te». Caterina e mamma Luciana sono le uniche barbone che io conosco. Frequentano la zona della stazione ferroviaria, trascinandosi entrambe con due valigie. Quando la madre sviene perché le gambe ormai non la reggono, vengono ricoverate in questo reparto, nella stessa cameretta. Un caso di buona sanità reggiana.
Nella chiamata della Caterina riconosco subito un invito esplicito di Gesù a visitarlo, anticipandomi il Natale. Una volta arrivato, le chiedo cosa desidera. Abituata a non comunicare con gli altri, dopo un lungo silenzio che mette alla prova la mia pazienza, spiega di cosa ha bisogno: due confezioni di detersivo liquido “per indumenti delicati” di una marca ben precisa e di formato piccolo perché più facilmente inseribili nelle valigie. E conclude: «Le robine intime mie e della mia mamma le voglio lavare io». Nel reparto provvedono a lavare anche i vestiti e la biancheria, ma resto ammirato per la dignità di queste due creature.
Il giorno seguente porto i prodotti richiesti a Caterina, che mi ripaga accennando a un sorriso. La mamma invece, agitatissima, urla imprecando contro di me e il mondo intero; ma questo all’inizio del ricovero è normale…
Il giorno di Natale arrivo con due vasetti di macedonia e faccio gli auguri ad entrambe. Ora la mamma è calma e serena. Gradiscono quel piccolo dono? «Sì, va bene, però…». Se la Caterina dice “però” è chiaro che non è totalmente contenta.
«Cos’altro desideri in questo giorno speciale?», suggerisco al limite della mia pazienza. E lei con voce quasi impercettibile: «Era meglio una bottiglia di spumante Asti Gancia, dolce, con le bollicine…». In cantina ho esattamente due bottiglie del genere. Ne porto subito una alle amiche e il 31 dicembre torno da loro con la seconda per il brindisi di mezzanotte.
Il primo dell’anno ripasso a fare gli auguri: «Andava bene lo spumante?». «Sì, però… era meglio senza bollicine perché ci piace il vino secco, meglio se di Frascati…». «Caschi bene – replico io –, perché conosco bene quel vino». Nei giorni successivi torno col Frascati, sempre ripagato dalla Caterina con un breve sorriso.
La Caritas ha deciso di trovare una possibile soluzione abitativa per loro, acquistando una roulotte, ma madre e figlia non vogliono accettare. Quale il motivo del rifiuto? Il responso di Caterina arriva… dopo due giorni di attesa: «Nella roulotte ci bruciano vive e poi abbiamo paura dei luoghi bui perché gli uomini vengono a prenderci in giro e a farci del male…».
Mi confida inoltre che loro dormono su una panchina della stazione appoggiate l’una all’altra, aggrappate alle loro valigie nel timore di essere derubate e senza mai distendersi. Ora capisco perché la madre ha le gambe così spaventosamente ingrossate, con inizi di cancrena.
Mi è stato insegnato che per far cadere una situazione devi “sostenerla”. «Avete proprio ragione – rispondo –: neanch’io dormirei all’aperto in una roulotte per non correre certi rischi». Si sentono comprese e mi fanno un breve sorriso riconoscente.
Dopo due giorni: «Sapete, ho ripensato alla soluzione in roulotte. La proposta viene dalla Caritas che è molto seria e sensibile ai bisogni dei poveri. Vedrete che vi sistemeranno in un’area abitata e ben illuminata». Stavolta, rassicurate, accettano. Informo subito l’operatrice che ora le segue con competenza e affetto ed è collegata con la Caritas.
Dopo l’Epifania, una volta dimesse dall’ospedale, le due amiche si sistemano in una roulotte presso una parrocchia di periferia, vicino alla canonica abitata. Il cortile è ben illuminato e di notte chiuso da una cancellata. Finalmente possono dormire su due veri lettini. L’operatrice al mattino le riporta nella zona della stazione, dove dignitosamente non chiedono mai l’elemosina (ma c’è sempre chi le aiuta), e alla sera le riaccompagna alla roulotte.
La prima volta che vengo ammesso nel loro rifugio, la mamma mi allunga le gambe avvolte in grosse calze, ma ormai sgonfiate. «Signora Luciana, ma ha le gambe di una ballerina!». Tutti e tre sorridiamo. La Caterina ora parla un po’ più speditamente, aiutandomi a dominare la mia innata impazienza.
Sapete, grazie a queste due amiche, ho scoperto un mio talento: ascoltare i poveri.