Il Sud è un problema?
La “questione meridionale” da almeno 150 anni torna puntualmente nel dibattito politico e ci torna sempre come un “problema” che il Nord associa a qualche dimensione presente nel “Sud” del Paese. E le “soluzioni” che ogni volta si propongono sono sempre le stesse: il Paese, quindi il Nord, deve fare qualcosa di più e di diverso per il Sud: in particolare occorre generosamente donare denaro e risorse.
Sono convinto che finché continueremo a porre la questione Nord-Sud in questi termini, non troveremo mai la soluzione efficace a questo problema. Che fare, allora? Innanzitutto, dobbiamo finirla con la lettura dell’Italia come una somma di un Nord e un Sud: l’Italia è un Paese complesso, che per essere capito e “curato” va letto a più dimensioni: Nord e Sud sono categorie troppo logore e generiche per essere ancora oggi di qualche aiuto. Ogni regione, a volte ogni città, del “Sud” è diversa all’altra: i problemi della Sicilia sono per certi versi simili a quelli della Puglia, ma per altri più a quelli della Sardegna, e per altri ancora a quelli del Lazio. Quando l’essere sopra o sotto Roma diventa il criterio principale per leggere i problemi della gente del Paese, siamo totalmente sulla strada sbagliata. Occorrono analisi più profonde e serie. In secondo luogo, poi, il “Sud” Italia non è un problema, ma una risorsa straordinaria di cultura, di buona vita, di relazioni, e anche di economia, una risorsa che – e qui sta il punto – non è valorizzata dall’Italia e dai suoi governi, innanzitutto perché non è capita, e non è capita perché non è amata e stimata adeguatamente.
Finché i politici che vogliono “aiutare” il Sud non avranno imparato a conoscere e a stimare davvero il Sud, qualsiasi aiuto o manovra “per” il Sud, sarà inefficace, come ben sa chi ha cercato davvero di aiutare una persona o una comunità: senza reciprocità, senza stima, non c’è sviluppo integrale, ma si alimentano vecchie e nuove malattie sociali. Solo stimando e capendo in profondità la vocazione delle regioni meridionali, che non sarà mai una vocazione industriale come lo è (o era) quella lombarda o piemontese, l’Italia non troverà il suo posto nel nuovo equilibrio mondiale. Lo sviluppo del secolo XXI, economico e civile, dell’Italia dovrà necessariamente passare per i grandi beni custoditi nelle pieghe della cultura mediterranea, beni che si chiamano ambiente, ben vivere, cibo, rapporti, storia: questi beni sono valori e risorse, non problemi. E solo quando saremo coscienti di tutto questo, ben vengano investimenti in infrastrutture al Sud, che sono estremamente urgenti: ma solo dopo, altrimenti continueremo a sbagliare, e a dividere il Paese.