Il sole nero
Un film sulla giustizia, che esige una dimensione metafisica, senza la quale essa manca e si lega al nichilismo che unisce in una sola cosa il bene e il male. Così Zanussi parla del suo film, un apologo filosoficomorale sul tema del bene e del male, impersonificato da due angeli. Uno, Michele, angelo della luce nel giovane Manfredi (un luminoso Lorenzo Balducci) sposo tenerissimo di Agata (una forte Valeria Golino) e l’altro un Lucifero roso dalla gelosia per l’amore estremo e innocente dei due giovani (un cupo Kaspar Capparoni): dal suo antro oscuro uccide nel sonno con una fucilata Manfredi, rintanandosi poi nel suo vissuto buio di ex violinista degradato. Da questo momento, in una Catania esaltata dalla fotografia viscontiana di Ennio Guarnieri tra penombre fatiscenti e marine abbaglianti, Agata resta sospesa tra vendetta e perdono. In lunghi ser- rati colloqui con il maresciallo di polizia, una sorta di pubblica coscienza dell’umanità, essa prende la sua decisione,dopo aver saputo di non esser rimasta incinta. Riesce a scovare nel suo antro presso il mare di Siracusa l’omicida, lo seduce e gli strappa la confessione: è l’invidia che l’ha portato ad uccidere Manfredi. In un confronto fisico drammatico, l’omicida resta ucciso. Agata si reca sulla scogliera e da lassù, con la visione del marito davanti agli occhi, si lascia cadere in mare. Suicidio o sacrificio per raggiungere l’Amore? Zanussi lascia il finale aperto. Tratto dal dramma omonimo – una storia reale – di Rocco Familiari, il film presenta una sequenza di riflessioni e commenti, costanti, che lo rendono di impianto teatrale e meditativo: cosa non facile per un pubblico abituato ad altro stile. La recitazione appassionata degli attori, il commento musicale gonfio di umanità di Wojciech Kilar, l’intensità delle scene, denotano la mano esperta del regista e il coinvolgimento del cast in una storia difficile da raccontare per le sue implicazioni morali. Zanussi ha voluto dire molto e certo una maggior sintesi avrebbe reso più sciolto il racconto, nettamente spartito in due atti: il primo, la festa dell’amore, il secondo la tragedia del buio esistenziale, del male che regna sul mondo. Restano comunque impressi alcuni aspetti: il modo delicato di raccontare l’amore fisico e innocente dei due sposi – cosa rara nel cinema attuale -, l’ossessione da tragedia greca (con tanto di coro di donne vestite di nero) di Agata che parla col marito morto – un fenomeno psicologico reale -, il senso di fatalità molto mediterranea che riempie silenzi e monologhi, alcune domande incalzanti del regista stesso al divino, come quando definisce la morte di un bambino una pazzia di Dio. Verrebbe da dire che questo sia una sorta di film-testamento di Zanussi, in cui egli condensa le domande di una vita, ma anche dell’Occidente attuale. Certo, costringe lo spettatore a non essere indifferente di fronte all’ingiustizia, a pensare e a interrogarsi. È troppo chiedere questo al pubblico attuale? Regia Krzysztof Zanussi; con Valeria Golino, Lorenzo Balducci, Kaspar Capparoni, Remo Girone