Il sogno di Martini

Il cardinale, con la sua apertura e libertà, ha posto alla Chiesa interrogativi e problemi scottanti e ha interpellato ogni cristiano a non restare dormiente e a non farsi seppellire dalla cenere
Cardinal Martini

Duecentomila persone hanno sfilato nel duomo di Milano per rendere omaggio al cardinal Martini: c’erano cattolici, cristiani di tante Chiese, credenti di altre religioni, non credenti. Non capita tutti i giorni.

Si possono trovare tante ragioni per una popolarità “postuma”, nei riguardi di una persona riservata, schiva, lontana da gesti populistici. Come mai Martini è entrato nel cuore della gente, del giovane e del politico, della donna della parrocchia e del professore ateo, del prete, della suora e dell’ebreo, del musulmano?

Rispondo semplicemente (forse semplicisticamente): perché ha capito ed è stato capito.
Nell’ultima intervista, che ha dato pochi giorni prima di morire, lui, studioso e testimone vivo della Parola di Dio, ne ha fornito la ragione: «La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti». Martini è stato condotto dalla Parola a parlare al cuore della gente, superando  le divisioni e gli steccati, per un incontro a tu per tu nella libertà di uno sguardo non condizionato dalle strutture e dalle tradizioni.

Per questo è stato capito, perché nella nostra società assetata di rapporti veri, dove la Chiesa non poche volte si presenta con linguaggi poco comprensibili all’uomo d’oggi e chiusa nella difesa di posizioni teoriche e pratiche, Martini ha detto parole chiare, semplici – e profonde –, che hanno tradotto nell’oggi il messaggio antico e sempre nuovo di Dio.
Sempre in  quell’intervista, ha detto con la lucidità di chi si trova davanti alla morte: «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni». E questa Chiesa si accinge fra un mese a celebrare un Sinodo sulla Nuova evangelizzazione.

A questo punto mi è venuto un sogno, parola questa che Martini ha usato in un altro Sinodo, nel 1999, per aprire l’orizzonte su una Chiesa diversa, più fedele alla Parola. Aveva presentato con chiarezza alcuni problemi non risolti, perché non affrontati o continuamente rinviati, come l’esercizio effettivo della collegialità episcopale, la drammatica carenza di sacerdoti in molti luoghi, che potrebbe essere ridotta con l’ordinazione di uomini sposati, la partecipazione dei laici alle responsabilità ecclesiali, la posizione della donna nella Chiesa e nella società, i divorziati risposati, la contraccezione, la sessualità…

Il mio sogno sarebbe che Martini partecipasse al Sinodo di ottobre. Il suo spirito, per intenderci. Che lui fosse il protettore e il modello dell’assemblea, perché la Chiesa si impegni in una evangelizzazione che sia realmente “nuova”, facendo un salto per coprire il ritardo di 200 anni. Quando lui poneva sul tappeto quei problemi scottanti – e lo ha fatto in varie occasioni –  non voleva dire che tutti dovevano pensare come lui, ma che pensassero. E avessero il suo sguardo, che «era sempre un poco "oltre" – come ha detto l’amico gesuita Silvano Fausti –, era uno sguardo aperto. Martini non era uomo da schemi né da giudizi né da etichette. Era aperto all’ascolto, per intuire la presenza di Dio ovunque e in chiunque».

Martini ha detto – e lo ripeterebbe nel prossimo Sinodo – che si deve «liberare la brace dalla cenere  per far rinvigorire la fiamma dell’amore». Si è domandato: «Come mai la Chiesa non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? La fede, la fiducia, il coraggio sono il fondamento della Chiesa». Non sono parole superficiali e nessuno può accusarlo di fissarsi sulle problematiche che eccitano il prurito della gente: «Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa», ha affermato con serietà.

Nuova evangelizzazione non vuol dire che la Chiesa si aggiorna per scoprire metodologie efficaci per annunciare il Vangelo, ma, anzitutto «conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi». Il sinonimo “cambiamento” usato accanto a “conversione” non permette di chiudersi in una dimensione di tipo morale, ma spinge nella direzione di apertura, di guardare lontano. Parole troppo forti, queste di Martini?
Lo sarebbero, se l’intervista da cui sono tratte non terminasse così: «Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».
Una domanda che dovrebbe aleggiare sul Sinodo, una domanda che deve insinuarsi nella coscienza di ogni cristiano per  assumersi la propria responsabilità e non scaricarla sugli altri, un invito a credere «nella radicalità della parola di Gesù che dobbiamo tradurre nel nostro mondo» (da: Conversazioni notturne da Gerusalemme).

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