Il sogno di La Pira: Spes contra spem
Esistono sogni che non possono essere sepolti dalle vicende della storia, perché essi superano le dolorose e contrastanti concessioni del tempo e i calcoli opportunistici di chi spesso quella storia la gestisce e la scrive. Esistono persone che incarnano in se stesse la visione di una realtà sperata, voluta, costruita, che continua a passare di mano in mano tra le generazioni e che non smette di trasmettere suggestione e fascino, perché richiama gli elementi essenziali della convivenza umana.
Tale discorso sembra essere “cucito su misura” per La Pira, padre costituente, a lungo sindaco di Firenze negli anni ‘50-‘60 del secolo scorso, uomo di pace e tessitore di rapporti che avevano lo scopo di avvicinare tra loro popoli, culture e città dell’Oriente e dell’Occidente del mondo, lasciando intravedere che tutto potesse essere guardato come la trama di un unico disegno. Nello spazio concesso si cercherà di delineare brevemente alcuni campi di applicazione del “sognare lapiriano”.
Una risposta certa
Passaggio essenziale, per entrare nelle categorie cognitive come nello stile operativo di La Pira, appare quello di ricordare la sua vicinanza alla lezione di san Tommaso d’Aquino, soprattutto per quanto concerne il versante pratico ed etico-politico, nell’ottica del bene comune e dell’interazione tra fine specifico e fine ultimo della società. Il caratteristico ottimismo del pensatore toscano può intendersi nel giusto modo solo rimandando ad uno dei capisaldi della meditazione tomista: la resurrezione di Gesù Cristo era vista come il punto nodale che avrebbe determinato un cambiamento definitivo nella storia, era l’evento dopo il quale tutto avrebbe assunto un senso compiuto ed un disegno preciso.
A conferma, ecco quanto La Pira ha lasciato scritto all’interno di una testimonianza del 1969: “Il mistero di Cristo in questa nuova età del mondo. È un tema sul quale rifletto da vario tempo… Le permanenti, ineliminabili, domande dell’uomo – chi sono, da dove vengo, dove vado – tanto al livello della persona che al livello dei popoli, si pongono proprio all’alba di questa ‘sconvolgente e contestativa’ età nucleare e spaziale del mondo, in maniera ancora più acuta ed urgente… È possibile una ‘risposta certa’, sulla quale riposare come sopra un ‘punto assiomatico’ ed a partire dalla quale si fa piena luce, anche in questa età scientifica e tecnica, nucleare e demografica, sul cammino e sul destino temporale ed eterno, terreste e celeste di singoli e dei popoli? Ebbene, questa risposta certa c’è; questo punto assiomatico esiste: esso è costituito dal fatto ‘fondamentale e finale’ che centralizza e finalizza… l’intera storia del cosmo e dei popoli. È il fatto della resurrezione di Cristo”[i].
La fecondità storica di un simile punto di vista faceva dire spesso a La Pira: “Il Vangelo non è solo un libro di meditazioni, ma un manuale di ingegneria per la costruzione di un mondo migliore”; l’incarnazione conseguente prese forma nel momento in cui egli cominciò la sua esperienza amministrativa, per la quale risultò essenziale sottolineare ed evidenziare quella che gli pareva fosse “l’anima” di Firenze, la vera vocazione della città: l’impegno in favore della pace, del dialogo reciproco tra culture, popoli e religioni diverse.
Tutto, nel suo ragionamento, partiva da una data ben precisa: 1527, anno in cui Girolamo Savonarola aveva posto sulla facciata principale di Palazzo Vecchio uno stemma, indicante la consacrazione della città di Firenze a Cristo, Rex populi florentini. Citando una delle prediche svolte in piazza dal monaco domenicano, La Pira scorgeva in quelle profetiche parole la missione della città-faro della regione Toscana: “E sarai tu, Firenze, riformazione di tutta l’Italia e qui comincerà la rinnovazione e spanderassi di qui per tutto, perché questa è l’ombilico della Italia, e li vostri consigli riformeranno ogni cosa, per il lume e la grazia che da Dio vi sarà data”.
Da tali parole maturò la convinzione che il territorio urbano situato sulle rive dell’Arno portasse in sé una speciale propensione, quella di essere una sorta di “città ideale” che potesse presentarsi quale luogo di dialogo in vista della soluzione di conflitti e l’accrescimento di spazi di fraternità.
In dialogo con tutti
Il detto, “Spes contra spem” (Sperare contro ogni speranza, cf. Rm 4, 18), che si faceva risalire a san Paolo, divenne la frase simbolo dell’impegno di La Pira per la pace, il motto con il quale il sindaco si dedicò ad iniziative di tutti i tipi, dai viaggi diplomatici ai convegni internazionali alle lettere personali che composero la sua nutritissima corrispondenza con capi di stato, personalità religiose, professionisti d’ogni campo, gente comune. E proprio con quest’ultima categoria di persone il politico fiorentino si premunì di mantenere un canale aperto di dialogo e di sostegno reciproco: si tratta della cittadinanza e dei monasteri di clausura, che egli curò personalmente in qualità di Presidente dell’Associazione San Vincenzo de’ Paoli.
Il rapporto con i suoi concittadini fu continuamente ricercato: le lettere agli anziani, ai bambini, ai malati, rivolte a tutte quelle componenti apparentemente marginali nella realtà dello spazio comunale, ebbero lo scopo di domandare un pensiero per la città e di rinsaldare un pieno coinvolgimento per l’apertura alle esigenze dettate dalla politica nazionale ed internazionale. Senza guardare a ragioni d’età, a ciascuno cercava di spiegare la “missione fiorentina”, la municipalità come luogo di dibattito e di iniziative che si desideravano non fossero vuote o auto-celebrative, ma momenti significativi di avvicinamento e di costruzione delle fondamenta future.
La Pira, per il quale aveva un posto tutt’altro che secondario il vissuto religioso ed il bagaglio intellettuale intessuto di cristianesimo, alle claustrali domandò invece un apporto contemplativo, al fine di poter contare su un’azione che, partendo dalla preghiera, arrivasse ad incidere sulle situazioni concrete, anche le più intricate. Così può spiegarsi una corrispondenza più che ventennale, in cui il sindaco aggiornò frequentemente e nei dettagli tutta la catena di monasteri femminili, con lettere che giungevano alle madri superiore prima e alla conclusione della singola conferenza o del viaggio diplomatico.
Un patto tra le città
Con lucida determinazione, a partire dal 1952, il sindaco si dedicò ad un’attività politica e culturale che portò veramente la città di Firenze ad essere capitale di incontri internazionali, centro di dialogo e di convergenza. Le prime manifestazioni in ordine di tempo furono i Convegni per la pace e la civiltà cristiana (1952-1956), occasioni di dialogo culturale e religioso attorno ai temi della fede e dello sviluppo, con la convinzione mai nascosta che i valori cristiani potessero rappresentare veicolo di miglioramento politico, economico e sociale, a partire dalla coscienza del messaggio rivoluzionario contenuto nel Vangelo e dalla sottolineatura del momento religioso come essenziale per la realizzazione d’ogni individuo e per la crescita dei valori fondanti di ciascuna comunità.
Altro avvenimento che ebbe un risalto notevole fu il Convegno dei sindaci delle capitali del mondo, che si tenne dal 2 al 6 ottobre 1955, con delegazioni in rappresentanza dei cinque continenti. La Pira, fin dall’esito drammatico della seconda guerra mondiale, aveva maturato un pensiero forte: se la tensione tra gli stati fosse arrivata ad un punto di saturazione insostenibile, il conflitto successivo, a motivo degli armamenti a tecnologia nucleare, avrebbe significato un’immaginabile alterazione definitiva della carta geopolitica, a partire dal tessuto connettivo rappresentato dalle città.
Questo pensiero egli l’aveva espresso compiutamente il 12 aprile 1954 allo svizzero Paul Ruegger, Presidente del Croce Rossa Internazionale: “Ebbene: questa epoca delle città nella quale siamo entrati coincide, per un misterioso paradosso della storia, proprio con l’epoca nella quale la contemporanea distruzione delle città può essere l’affare di pochi secondi! Non è ormai un sogno: entra nella zona delle cose possibili: nello spazio di poche ore la civiltà umana potrebbe essere radicalmente privata di Firenze e di tutte le capitali del mondo… Ecco il problema fondamentale dei nostri giorni… hanno gli Stati il diritto di distruggere le città?”[ii].
I giorni di lavoro e di scambio tra i rappresentanti cittadini portarono alla firma di un patto simbolico apposto su pergamena: “Le città capitali di tutto il mondo, convenute a Firenze, si promettono reciprocamente amicizia e pace”, con il sindaco di Mosca Jasnov spesso a colloquio con i pari grado dei Paesi occidentali, un clima che parve segnare una nuova coscientizzazione di come la pace non consistesse più in un atto siglato dai massimi responsabili della vita politica, ma da un processo di edificazione comune.
La buona riuscita di quel convegno portò La Pira ad incrementare i rapporti tra le città, stimolando lo strumento significativo dei gemellaggi. Da questo suo pensiero nacquero gli scambi di Firenze con città dei quattro angoli del pianeta: Filadelfia, Kyoto, Fez, Edimburgo, Reims, Kiev; dalla convinzione che lo spazio comunale fosse il luogo della naturale realizzazione di ogni azione umana, concreta ed ideale, venne nel 1968 la nomina, confermata poi una seconda volta, di Presidente della Federazione mondiale delle città unite.
In quegli anni, e partendo da quella stessa carica, La Pira si rese protagonista di una campagna di distensione tra Ovest ed Est Europa, fece facendo sì che le città potessero aiutare il processo di disarmo nucleare, la distensione all’interno del continente europeo, tra l’altro giungendo ad un riconoscimento pieno della DDR. A Leningrado La Pira lanciò un programma in tre punti: “1) Vedere quest’epoca, prendendo profonda coscienza della sua novità essenziale: quella che la definisce e che la costituisce, unica, senza confronti possibili… età di pace totale o di distruzione totale; 2)…le città ed i popoli di tutta la terra, davanti all’alternativa ‘pace per 10.000 anni o rogo del pianeta’ (il dilemma di Kennedy) fanno la loro scelta, dicono No per sempre alla guerra e dicono Si alla pace totale; 3)… Unire le città per unire le nazioni”[iii].
I Colloqui Mediterranei
Altre intuizioni in merito alla pace ed alla necessaria prossimità tra popoli, culture e religioni diverse portarono alla maturazione dell’altro significativo evento di politica internazionale per la città di Firenze nel corso delle amministrazioni La Pira: si tratta dei Colloqui Mediterranei. Nell’impegno politico del sindaco non erano mancate spinte verso quello che è stato chiamato il “neoatlantismo”, atteggiamento politico-strategico che si basava sulla richiesta di un disarmo quanto più ampio possibile, sulla riforma della Nato e sulla profonda apertura nei confronti dei paesi in via di sviluppo, che andavano agevolati nella loro crescita politica autonoma per sottrarli all’egemonia comunista e per instaurare con essi rapporti politici ed economici su basi democratiche e paritarie.
I Colloqui Mediterranei nacquero a partire dal 1958 e si protrassero fino al 1964 (con convocazione non annuale), scandendo un percorso di dialogo e di progressiva consapevolezza da parte di numerosi tra gli stati che si affacciavano sul Mar Mediterraneo di come il loro cammino di confronto potesse risultare fondamentale per la risoluzione di diversi tra i conflitti più intricati e devastanti per la comunità internazionale. È oramai abbastanza assodato e riconosciuto come i primi incontri che favorirono il disgelo tra Francia ed Algeria, gli accordi di Evian e la pace di Algeri del 1962 avvennero a Firenze; una nuova richiesta di ricerca di soluzioni alla questione israelo-palestinese avvenne lì; al tempo stesso anche il processo di decolonizzazione poté giovarsi di spazi in cui si ebbe l’occasione di riflettere sulla necessità di un processo di cooperazione tra gli stati, con focus importanti sul continente africano.
Quanto fossero stati significativi quegli anni di dialogo e di lavoro è colto bene da Ernesto Balducci, quando scrive che “l’individuazione dello spazio mediterraneo come punto nevralgico della pace mondiale è una delle intuizioni più ricche di La Pira… Ma La Pira aveva intuito qualcosa di più. Nei popoli emergenti al di là del fossato, l’impulso rivoluzionario aveva una matrice religiosa. Ecco perché le ideologie occidentali, generate dall’illuminismo, si andavano rivelando del tutto inadatte a guidare e a interpretare le lotte di liberazione”[iv].
La speranza lapiriana, intessuta di ottimismo, era quindi basata sulla convinzione di un destino di interdipendenza tra stati, città e popoli, come confermato una volta all’amico Facibeni: “Esiste una teologia dei popoli. I loro movimenti sono finalizzati… Ecco dunque una civiltà di segno nuovo che si prospetta, aperta a tutti i problemi del nostro tempo: la pace, il lavoro, l’assistenza, la strutturazione dello Stato, la cultura; e mirante all’unità del genere umano: il cammino dei popoli inevitabilmente avviato alla pace e all’unità”[v].
In fondo la scelta di “propagandare” una visione unitaria dei destini del mondo continuerà fino alla fine della sua attività, perché era insita nell’interpretazione cristiana che egli dava del progresso storico; in quella radice vi era un concetto di universalità e di fraternità che La Pira aveva “sposato” quale approccio fondamentale per le azioni politiche e per il progredire sociale dell’umanità.