Il sogno americano di Serafin
Da bambino la sua ambizione era di andare in America, la terra dell’abbondanza, la patria di Mickey Mouse e Donald Duck. Serafin Arviola, filippino, come tanti suoi coetanei segnati dalla miseria e dalla fame, sognava di vedere da vicino i grattacieli di Manhattan, la Statua della libertà, Disneyland e Hollywood. “Lavoravo di mattina e studiavo di pomeriggio, cercando di raggranellare quei pochi soldi che mi garantissero ogni giorno il pranzo e la merenda a scuola. Aspiravo a diventare ricco ed ero convinto che studiare era la chiave per realizzare i miei sogni”. Ma le cose cambiano per Serafin quando incontra un gruppo di giovani che lavorano in un centro sociale chiamato Bukas Palad, gestito da persone appartenenti al Movimento dei focolari. La sua nonna è affetta da una tubercolosi acuta quando un vicino di casa gli riferisce di questo centro che offre assistenza gratuita alle famiglie povere. “Vidi persone di varie estrazioni sociali lavorare lì. Poveri e ricchi, giovani e adulti, professionisti e casalinghe. Notai subito con quale cura si occuparono della nonna e chiesi così ad un’assistente del dottore, una signora raffinata e ben vestita, il motivo dell’atto di carità cui stavo assistendo. Mi sorrise e citò un passaggio del vangelo: “Qualunque cosa avete fatta al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatta a me”. Così mi spiegò la sua felicità nel servire gli altri, soprattuttobisognosi e disperati”. È una prospettiva completamente nuova per Serafin. Scopre uno stile di vita basato sull’amore e non sulla ricchezza materiale, un amore che non aspetta il contraccambio, che supera gli steccati razziali, religiosi e sociali. Il coinvolgimento sempre maggiore nelle attività portate avanti da questi giovani appena conosciuti gli fa dimenticare il suo sogno di divenire ricco e di recarsi in America. Nasce invece in lui il desiderio di inserirsi in politica per poter aiutare il suo popolo, il meglio possibile. Ma quando arriva il tempo di decidere quali studi intraprendere, sceglie il campo dell’educazione. Nel corso dei tre anni di università incontra le persone più diverse per credo e convinzioni. Gli propongono ideologie e princìpi che, secondo loro, sarebbero in grado di risolvere problemi della povera gente. Così Serafin si ritrova a gridare slogan antiamericani sulle strade storiche di Mendiola, Roxas Boulevard, vicino all’ambasciata americana. Diventa una sorta di “campione degli oppressi” mentre rabbia e frustrazione aumentano la sua avversione vero i paesi ricchi e i ricchi in genere. “Mi chiesi a un certo punto perché mi stava succedendo tutto questo. C’erano altri modi di aiutare il mio paese? Quell’esperienza vissuta con i giovani di Bukas Palad continuava a “parlarmi”. Mi tornavano in mente i loro sorrisi mentre curavano la nonna e la pienezza di felicità che provavano aiutando gli altri. Capii che era lì la risposta: per trasformare la società avrei prima dovuto cominciare da me stesso”. Dopo la laurea, Serafin comincia a lavorare come insegnante. Per cinque anni si trova ad elaborare progetti di educazione alla pace, all’ecologia, alla solidarietà; programma con gli studenti attività rivolte direttamente ai poveri e agli emarginati. In seguito al suo impegno viene invitato a parlare a numerose conferenze nazionali e internazionali per giovani. Una di queste è la 54a Conferenza annuale delle organizzazioni non governative, in programma presso la sede centrale delle Nazioni unite a New York, dal 10 al 12 settembre 2001. “Ero stato invitato a tenere un discorso ai 2500 partecipanti sul ruolo dei giovani volontari nella promozione di una cultura di pace nelle Filippine. Ma la conferenza venne sospesa il secondo giorno, a causa degli attacchi terroristici dell’11 settembre. Vidi con i miei occhi il crollo delle Torri gemelle, perché un amico filippino che lavorava lì mi aveva dato appuntamento alle 8 del mattino. Provvidenzialmente però mi ero perso nel sottopassaggio pedonale e dunque ero arrivato in ritardo. Rimasi scioccato da quella catastrofe: era la prima volta in vita mia che vedevo tanta disperazione. Chiesi a Dio perché mi avesse fatto assistere a quell’immane tragedia. Per tanti anni avevo sognato di andare in America, simbolo della potenza economica e militare in tutto il mondo, ma quell’evento spazzava via ogni certezza per lasciare solo Dio. Capii che egli voleva che lo scegliessi come l’unico ideale della mia vita. Ero reduce dalla perdita del papà e della nonna, avvenute il mese prima. Un dolore che mi sembrava ancora difficile da accettare. Ma quel disastro mi poneva davanti il dolore dell’umanità, immensamente più grande del mio. Decisi così di continuare a dedicare la mia vita alle persone nel bisogno. Se i terroristi erano capaci di morire per i loro ideali, anch’io avrei dato la mia vita per l’unità, la pace, l’amore, Dio”. Quando la conferenza riprende i suoi lavori due giorni dopo, Serafin vuole condividere con i partecipanti quello che ha vissuto tralasciando quasi del tutto quanto aveva preparato. “Fui il primo di cinque oratori provenienti da Colombia, India, Camerun e Croazia a prendere la parola. Mentre parlavo, sentivo che la nostra sofferenza si trasformava in solidarietà, la rabbia in compassione, il dolore in serenità. Elaborammo un documento che esprimeva la solidarietà con le vittime della tragedia e invitava le Nazioni Unite a risolvere il problema del terrorismo con mezzi pacifici. La stessa signora Annan, moglie del segretario dell’Onu, se ne fece portavoce presso il marito. “Siccome poi tutti i voli erano bloccati, decisi di aiutare come volontario nelle operazioni di soccorso condividendo così concretamente il dolore di chi aveva perso affetti, lavoro, certezze. Adesso sono tornato a Manila dove continuo a lavorare per un mondo più unito. Un impegno al quale ancora più di prima non posso sottrarmi”.