Il sociale come liberazione dell’utopia. L’attesa di oggi
Il crollo del socialismo reale, e ancora di più la distruzione delle torri gemelle di New York, non poteva non portare alla luce la crisi profonda che travaglia la cultura dell’Occidente. Crisi che va intesa nel duplice e inseparabile senso di fine traumatica di qualche cosa e nascita di una novità che in ciò che tramonta ha le sue radici. L’autore riflette su questo accadimento muovendosi nella radice della cultura: non, cioè, in una o nell’altra delle sue espressioni, ma nella meditazione che essa può fare
su se stessa, «nella misteriosa complessità dell’essere». Emerge, allora, dalla crisi che è la postmodernità, la gestazione di qualche cosa che già era nella cultura dell’Occidente e la caratterizzava, ma non si era ancora espresso in pienezza. È, questa realtà, la categoria, la dimensione, del sociale, quello spazio dell’esistenza dell’uomo nel quale egli, libero e intelligente, deve sempre più esprimersi, deve giungere a possedersi attraverso una sperimentazione nella quale la reciprocità dei rapporti umani entra come elemento determinante. Spazio aperto alla fedeltà al quotidiano possibile e alla tensione al compimento assoluto.
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