Il sindaco obiettore
Il mio paese, Favria, è un piccolo comune, poco più di 5 mila anime. Sta a Nord di Torino nel Canavese, un luogo che non è mai stato al centro di eventi storici o culturali di rilievo, che non ha mai attratto l’attenzione dei media (anche se è patria di persone semplici e silenziose, ma libere ed eccezionali… vogliamo parlare di mio nonno?).
Ebbene, nelle ultime settimane Favria sta ricevendo molte attenzioni da parte della stampa e dei social network. E persino una celebre comica lo ha nominato in una trasmissione televisiva in prima serata (ormai si sa, la parola del comico in Italia prevale su tutte le altre e – ahimè – è la più ascoltata). Che sarà mai successo? Il caso, dicono, è questo: il sindaco del paese ha rifiutato di celebrare l’unione civile tra due uomini prevista dalla legge Cirinnà. Fulmini e saette! Ho deciso di prendere appuntamento con il sindaco. Per due motivi: 1) perché lo conosco da tempo e volevo sapere dalla sua bocca che cosa fosse successo; 2) perché – da giornalista – diffido tremendamente della stampa, e soprattutto dei social e della Tv e, quando è possibile, cerco di verificare di persona di che cosa si sta parlando. Incontro Serafino Ferrino, sindaco di Favria, nel suo ufficio. Sa il motivo della mia visita e quindi entriamo subito nel discorso.
«Sì, è vero – dice Ferrino –, sto ricevendo molta attenzione dai media, richieste di interviste per telefono, molti insulti e tante dichiarazioni di solidarietà. Gli insulti arrivano soprattutto sui social. Tanti attacchi violentissimi e anche una denuncia da una associazione gay di Roma. Le dichiarazioni di solidarietà arrivano soprattutto con telefonate: da gente diversa, da cittadini, religiosi, da amministratori pubblici di tutta Italia, gente mai conosciuta. Poi, solidarietà a volte non desiderate, come il gruppo di estrema destra che ha messo uno striscione di solidarietà di fronte al Comune (che ho fatto rimuovere). E solidarietà inaspettate come quella di Radio Radicale che mi ha concesso una lunga intervista e sostiene il mio punto di vista: l’obiezione di coscienza».
Andiamo per ordine. Che cosa è successo?
Due uomini, che non sono del paese, si sono recati in anagrafe per chiedere informazioni per poter celebrare il prossimo marzo la loro unione civile qui.
Due che non conosci, quindi?
Mai visti, né prima né dopo. Non hanno fatto alcuna richiesta scritta. È tutto avvenuto a voce e non in mia presenza. In comune hanno spiegato comunque quali sono le mie idee, che son ben note a tutti, e loro rispettosamente se ne sono andati.
E come si è diffusa questa cosa?
Un paio di settimane dopo ho avuto su quel fatto una chiacchierata con un giornalista. Da lì non so come sia andata… ma la notizia è finita all’Ansa e poi è partita in giro.
Parlavi delle tue idee. Quali sono?
Facciamo due premesse. La prima che non ho nulla contro gli omosessuali. La seconda che la mia formazione cattolica, fin da ragazzino a catechismo, mi porta a credere che la famiglia sia una sola, fatta da uomo, donna e figli. Credo che la famiglia sia il pilastro della società. E faccio parte d’una associazione attenta ai valori della vita. Tutti devono avere i loro diritti, ma per me la famiglia è così. Ho sempre espresso il mio disaccordo sulla Cirinnà. Sin da prima che diventasse legge. Ora con un gruppo di altri cittadini, sindaci e giuristi stiamo lavorando per un emendamento all’attuale legge, per chiedere il riconoscimento dell’obiezione di coscienza da parte di sindaci come me che non intendono celebrare queste unioni. Perché si tratta di un argomento molto sensibile che sconvolge l’etica d’una persona, e che ha che fare con la vita, perché per me la famiglia è il posto dove si genera la vita.
Sui social sei stato accusato, oltre di non volere celebrare l’unione, di non voler neppure delegare.
È vero. Perché la delega implica condivisione. Sei d’accordo e non puoi, deleghi. Ma se non sei d’accordo su una cosa, non ha senso delegare. La legge, però, prevede che, nel caso il sindaco non celebri l’unione, sia sostituito dal responsabile dello Stato Civile del Comune e l’unione viene poi scritta nei registri. Senza bisogno di deleghe. Se avessero chiesto, quei due uomini, una soluzione si sarebbe trovata. Ma in realtà non è successo nulla, non c’è stata alcuna richiesta, stiamo parlando di possibilità, che però hanno un grande significato.
Certo, molto spesso i media, i social soprattutto, fanno passare per accadute cose che non sono affatto successe. Ma andiamo avanti… Quindi vorresti il riconoscimento della possibilità dell’obiezione?
Sì. Personalmente credo che questa legge non difenda la famiglia uomo-donna e che la paragoni molto da vicino ad altre unioni. Vorrei che fosse riconosciuta la libertà d’espressione anche di chi la pensa come me, che come cittadino si sente travagliato da questa legge che tocca questioni di morale. Voglio difendere questa libertà in modo pacifico e tranquillo.
Cosa pensi che accadrà?
Non lo so. Io vado avanti, sostenuto da chi mi vuole sostenere. Del resto anche un’altra sindaca, una donna di un comune in provincia di Pisa, di 50 mila abitanti, prima di me, si è comportata come mi comporterei anch’io.
Potresti incorrere in sanzioni previste dalla legge?
Non credo. Per ora, come dicevo, non è successo nulla. E non ho fatto del male a nessuno. Ma la mia idea non cambia. Credo che si debba esercitare l’obiezione di coscienza contro leggi dello Stato che vanno contro la tua etica. Io sono sereno, mi sento a posto con la mia coscienza.
E se per questo dovresti pagare?
Vedremo. Se dovrò pagare, pagherò. Non mi disturba. Ma ci sono tanti problemi più importanti di questi tempi. Non si dovrebbe dare così risalto alla cosa. C’è tanto da fare.
Ci salutiamo. Lui al suo lavoro. E io in bicicletta verso casa, dove anche a me attendono molte cose da fare. E mentre pedalo penso a una cosa che mi sta sempre più a cuore: la libertà. Dono prezioso come l’aria, ma così difficile da vivere (mi rendo conto: per quanto ci sia ostico ammetterlo, ci piace tanto essere schiavi, delegare ad altri la nostra libertà). E libertà, in prima battuta, consiste nel permettere agli altri di pensarla come vogliono, mantenendo però la dignità di richiedere che sia permesso anche a noi di pensarla come riteniamo sia giusto.