Il signore degli anelli: il ritorno del re
Il ritorno del Re conclude alla grande la trilogia di Tolkien. Ne è la degna conclusione ed è inscindibile dai due lavori precedenti, di cui bisogna che lo spettatore ricordi personaggi ed eventi. Si trovano a loro agio i lettori, che con gioia rivedono i loro eroi e le conclusioni delle varie avventure, mentre ritrovano l’ampio respiro e l’incanto tolkieniani. Oltre tre ore, a cavallo dell’immaginazione, in uno spettacolo che appaga la vista, coinvolgendo, senza stancare, e toccando corde profonde della sensibilità. Anche questa volta è attiva, più che mai, la comunicazione tipica del linguaggio cinematografico, che parla soprattutto attraverso le immagini. Montagne, grotte, cascate, eruzioni vulcaniche, costruzioni straordinarie sono frutto soprattutto dei progressi del digitale, che ha dato la possibilità al cinema di rappresentare in maniera sorprendente le suggestive atmosfere suggerite dallo scritto. La meraviglia è quella confacente all’ambientazione, fuori dal tempo, dell’era quasi mitica della Terra di Mezzo. In essa esistono ancora gli ultimi immortali e le forze del Male vi si manifestano sotto forme mostruose, impressionanti anche per prestanza. L’inquietante Gollum, figura interamente prodotta al computer, accompagna l’hobbit Frodo, che procede verso il monte Fato per distruggere l’anello, emanante un fascino sinistro, e lo insidia con la sua viscida personalità schizofrenica. Il Bene, pur disponendo di forze fisiche minori, si avvale del coraggio di esseri non perfetti ma generosi e pronti al perdono, della saggezza di Gandolf dalla significativa veste bianca, della speranza che solo coloro che si propongono fini buoni possono avere. Una dedizione di molti, vicina allo stile cristiano. La lotta è fatta di scontri immani e non dà requie. Forse quelle corde profonde che la visione del film fa vibrare negli spettatori, sono le stesse che vibrarono nello scrittore e nel regista, ed anche quelle che vibrano, più o meno consciamente, in tutti gli uomini, nella normalità della loro esistenza. E l’appagamento, che procura la visione del film, è legato all’aspirazione, radicata nella psiche, a vincere il male, cioè tutte quelle tendenze disgregatrici, che continuamente devono essere annullate per dar spazio alla vita. Regia di Peter Jackson; con Elijah Wood, Viggo Mortensen.