Il senso religioso dei Simpson
Una singolare disputa teologica anima da qualche giorno i media americani.
I Simpson sono cattolici? Sì, anche se pochi lo sanno e fanno di tutto per nasconderlo. No, i Simpson sono protestanti e, per l’esattezza, presbiteriani: non potrebbero resistere un solo venerdì senza mangiare carne. Una singolare disputa teologica anima da qualche giorno i media americani. A suscitarla, involontariamente, un articolo appena pubblicato su La Civiltà Cattolica (“I Simpson e la religione” di Francesco Occhetta), poi ripreso dall’Osservatore Romano (“Homer e Bart sono cattolici” di Luca Possenti).
Al centro dell’attenzione non sono la comicità surreale del più noto cartone animato dei nostri giorni, la sua satira pungente o il sarcasmo con cui colpisce lo stile di vita americano, ma la capacità di sollevare temi antropologici legati al senso e alla qualità della vita. Per cui la questione, abbiate pazienza, si fa seria. «I Simpson – scrive padre Occhetta – sono tra i pochi programmi televisivi per bambini nei quali la fede cristiana, la religione e le domande su Dio, sono temi ricorrenti». Con buona pace dei teologi, dunque, non preme all’articolista stabilire se i tanto amati e odiati personaggi in giallo siano credenti in senso stretto, ma se il cartone animato sia aperto alla questione religiosa.
Un’ottima occasione dunque per riflettere sul senso religioso. Se pensiamo alla fede non solo come a un insieme di credenze, princìpi e prassi, ma anche come a un percorso di ricerca che coinvolge l’intelligenza, si nutre di spirito critico e si alimenta con le domande, allora anche lo sguardo disincantato e critico dei Simpson può divenire uno strumento stimolante. Conclude Luca Possenti sull’Osservatore Romano: «Nelle storie dei Simpson prevale il realismo scettico, così le giovani generazioni di telespettatori vengono educate a non illudersi. La morale? Nessuna. Ma si sa, un mondo privo di facili illusioni è un mondo più umano e, forse, più cristiano». Conclusione, ne converrete, tutt’altro che convenzionale.
Certo, vaccinare alle disillusioni può essere un buon punto di partenza ma non può bastare. La sfida educativa oggi ci chiede di coltivare in ogni casa, in ogni scuola, in ogni arena pubblica, uno sguardo ironico e appassionato sulla realtà. Uno sguardo che non sia a priori né illuso né disilluso, ma creativo. Ci chiede di imparare a confrontarci senza paure con punti di vista e prospettive diverse dalle nostre. Ci chiede infine di immaginare spazi accoglienti nei quali, come amava ripetere Carlo Maria Martini, i “pensanti” – credenti e non credenti – si confrontino; o meglio, luoghi dove l’anima credente e dubitante di ciascuno di noi possa alimentarsi alla luce delle proprie domande.