Il senso del bene dove non c’è
Ci trasferiamo da Vladikavkaz, capitale dell’Ossezia del Nord, a Nasran, capitale dell’Inguscezia. Dodici chilometri in tutto. Attraversiamo i territori di Prigorodny contesi tra osseti e ingusci. Gli uomini portano il copricapo bianco e le donne il velo. Nel paese di C?ermen la polizia ci ferma per un controllo: ogni cinquecento metri una vettura di agenti pattuglia l’abitato. Poi la frontiera, le tracce della guerra vicina e per gli agenti perfida, perché non dichiarata, perché colpisce l’esercito russo. Si vedono tank e fili spinati ovunque, il ghigno dei soldati non è amichevole. La guarda di frontiera, che imbraccia un fucile gigantesco, scopre che siamo europei e s’apre in un sorriso alcolico e sdentato. Conciliabolo filosofico-politico Passata la frontiera, la città è subito lì. Incontro Asamat Nalghiev nella sua casetta di campagna: vestito modestamente, la sua cordialità è evidente. È appassionato di musica lirica – ascolta Rossini e Verdi – e conosce bene i film di Antonioni e Bergman. Gli chiedo qualche punto di riferimento per capire la situazione dell’Inguscezia. Bisognerebbe parlare con le fonti – mi risponde -, cioè con la gente comune, nei villaggi. Ieri è stato ucciso un soldato russo in seguito a un pestaggio di innocenti. Una donna è stata costretta ad abortire. Ma i medici non danno dati oggettivi sull’entità delle ferite della gente. Il resto è filosofia. Le complicazioni non sono nate oggi, né cento anni fa, ma all’inizio della colonizzazione del Caucaso. Da allora tanti ammazzano in nome di Dio. Si ferma, s’accarezza la barba di due giorni, dice di essere cardiopatico: Non voglio avere troppe sollecitazioni, per cui coltivo il mio orto – ammette -. Il mio nome significa cittadino, è un’etimologia turca, e tutto quello che succede nel Paese mi fa male. Nei Novanta speravamo in un futuro democratico, ma la popolazione inguscia non è abituata a rispettare la legge russa, fatta da governi che a loro volta non la rispettano. Asamat Nalghiev è filologo e filosofo. Durante il comunismo, non avendo voluto la tessera del partito, ha fatto il minatore nel Kazahstan e in Jakuzia. Poi è stato eletto per un decennio deputato della Repubblica d’Inguscezia. Ma in tutta la mia vita ho letto – cerca di scusarsi dei suoi due mestieri – e in misura minore ho dipinto. Questa è la mia ricchezza. Diocleziano aveva lasciato il palazzo per dedicarsi ai suoi pomodori. I cortigiani cercavano di riportarlo al suo ruolo, ma egli mostrava loro la bellezza dei cavoli. L’orticoltura è più interessante della politica attuale, e la sera mi corico con la coscienza pulita. Cerco di portarlo all’attualità, ai morti ammazzati, alle tensioni quotidiane. A fatica. Il centro del wahhabismo s’è spostato dal Daghestan e dalla Cecenia all’Inguscezia? Negli attentati di questi ultimi tempi si trovano sempre le impronte dell’orso, risponde enigmaticamente. Cioè? Non sempre i radicali sono i soli responsabili; anche le truppe russe hanno le loro colpe. Che il trasloco dei terroristi abbia avuto luogo, non lo nego. Kadyrov in Cecenia ha cercato di eliminare le influenze religiose radicali: già suo padre, al tempo di Maskhadhov, aveva ammazzato non pochi wahhabiti. Tra l’altro, il potere inguscio in questo momento è molto debole e questa gente torbida si sposta dove può operare con impunità. Se ci fosse ancora il precedente presidente, Ruslan Aushev, militare e cavaliere, questa emigrazione non avrebbe avuto luogo. Non permetteva stupidi atti di libero arbitrio agli ingusci, non voleva che l’anarchia prevalesse. Era rispettato persino dai russi. S’interrompe, Asamat Nalghiev: Il nostro Paese è quasi al cento per cento schiavo di Putin, soprattutto i funzionari del governo. Questo ha dei riflessi pesanti, c’è una gran paura in giro: con voi nessuno parlerebbe apertamente, salvo chi ha molto sofferto e quindi non ha nulla da perdere. La paura stalinista è tornata. Il presidente attuale, Ziazikov, ha lavorato qui, ma è debole e non è amato. Un popolo fiero Quali sono, secondo lei, qualità e difetti del popolo inguscio? Montesquieu parlava di determinismo geografico – mi risponde dottamente -. Nel XVIII secolo l’impero russo ha cercato di cancellare alcune etnie. Difficile scalzare però un popolo fiero come quello inguscio, con forti tradizioni culturali prima che politiche e religiose (siamo musulmani solo da 150 anni). Il popolo è regolato soprattutto da una legge non scritta, l’adat. Questo è in effetti uno dei limiti del Paese, che deve vivere tra tre corpus legislativi: l’adat, appunto, la shari’a musulmana e la legge russa. Tra questi tre codici l’inguscio sceglie di volta in volta quello che a lui conviene. E c’è un forte retaggio montanaro, combattivo e combattente. La voce di Nalghiev prende venature epiche: Voglio morire in questa amata terra. Un inguscio che non conosca i suoi antenati fino alla settima generazione è una vergogna. Ma non abbiamo una storia scritta credibile; sì, qualcuno comincia a scribacchiare, ma la storiografia qui è sempre stata serva della politica. Come altrove, d’altronde. Mi ha sempre sorpreso il fatto che nella civilissima Germania dei Goethe e dei Beethoven d’improvviso spuntasse un Hitler, o che nella culla dei Raffaello e dei Michelangelo vedesse la luce un Mussolini. Si capisce come le tradizioni democratiche in Europa non fossero allora stabili. Perché non dar tempo anche all’Inguscezia?. Russi e ingusci su fronti opposti Perché tanti attentati contro i russi? La Russia da molto tempo ha deciso chi nel Caucaso sia amico e chi nemico – mi risponde -. Il popolo inguscio è tra questi ultimi, anche per motivazioni religiose. Ora, col presidente Zjazikov, prende piede lo sciovinismo, forte eredità imperiale. Cento anni fa era così. Il grande nazionalismo russo teme i nostri piccoli nazionalismi. Pace nel Caucaso? E come? Per prima cosa, bisognerebbe che le autorità avessero una vera volontà di pace. Le autorità statunitensi avevano eliminato il razzismo nel Sud scortando i bambini neri nelle scuole dove convivevano con i bianchi. Powell e la Rice mostrano come siano riusciti nell’intento. I bolscevichi avevano fatto qualcosa di buono, cioè avevano messo tutti allo stesso livello, volendo creare l’homo sovieticus.Ma oggi il potere non vuole più la pace. E gli ingusci, la pace la vogliono? C’è un problema di revanscismo – ammette -.Vogliono ancora le terre tolte loro dai bolscevichi nel 1944, attualmente in Ossezia.Ma bisogna tener conto della realtà, non solo del passato. Il fondamentalismo islamico vuole farci tornare al VII secolo, ma così facendo si entrerebbe in un vicolo cieco. È molto difficile gestire una società multietnica; è molto più facile governare una società multireligiosa. Che rapporti hanno gli ingusci musulmani coi cristiani? Non esiste nessun problema a convivere. Mi interessano poco i dati del passaporto, che invece interessano chi ha una visione fondamentalista della vita. Guardo negli occhi una persona e capisco se mi è amico o nemico. Anche se è nemico, comunque lo rispetto. Fa caldo, Asamat Nalghiev parla come un piccolo Socrate inguscio: Kipling era razzista quando scriveva del peso che portano i bianchi, cioè della missione di civiltà che i bianchi avrebbero rispetto alle altre razze. Ma chi ha mai chiesto loro di assumersi l’onere di questa missione? Le persone, le razze, dovrebbero studiare meglio sé stesse invece di insegnare agli altri la vera civiltà. Asamat Nalghiev sospira: I russi dicono che non c’è villaggio senza responsabile di villaggio. Forse è così. Bisogna perciò che comandi qualcuno che abbia il senso del bene, interrompendo la crescita del razzismo e della corruzione. Che epitaffio vorrebbe sulla sua tomba? Tolleriamoci gli uni gli altri. Non cercare di cambiare gli altri, ma cambia te stesso. UNA STRISCIA DI TERRA La Repubblica d’Inguscezia, parte della Federazione russa, si estende su 4 mila km quadrati per appena 467 mila abitanti, di cui il 77 per cento di ingusci (etnia simile anche per lingua a quella cecena), il 20 di ceceni e il 2 di russi. La religione quasi unica è l’Islam sunnita, ma da un secolo appena. Storicamente la vicenda inguscia è assai complessa, avendo la regione raggiunto per la prima volta una certa autonomia dal 1924 al 1934, dopo essere entrata a far parte della Russia nel 1810. È tornata autonoma solo nel 1992. Oltre alla conflittualità con l’esercito russo, è ancora aperto il fronte con l’Ossezia del Nord, per il distretto di Prigorodny abitato da ingusci ma in territorio ossetino. Possiede nel sottosuolo petrolio e gas in quantità non trascurabili.