Il sarto
Il sarto è nella sua bottega. L’ago in una mano e il filo nell’altra. Non ci vede più bene l’uomo, non avrebbe nessuna possibilità di infilare la cruna dell’ago se non avesse compiuto questa operazione tutta una vita. Prende le forbici, ritrova i gessetti e tutto quello che gli serve per il suo lavoro. L’abitudine e dopo ancora il gusto della ripetizione e dopo ancora la malattia agli occhi hanno trasformato l’abitudine in volontà precisa e il gusto della ripetizione in bisogno. Eppure il sarto si muove come un re nella sua bottega. Certo non può più seguire le mode, come potrebbe nella sua condizione! Ma sa cucire vestiti con un certo gusto classico che non tramonta mai. È vero, potrebbe andare in pensione, ma come si fa a dire basta, smetto? Un artigiano che ha creato dal nulla per anni e anni vestiti per i suoi clienti non conosce questa parola: basta. Cosa c’è dopo averla pronunciata? Qualcosa che fa paura: una vita che scorre a suon di necessità! Per questo non si rassegna ancora il sarto e si è preso un giovane discepolo. Il ragazzo è un disturbo per il sarto, una spina nel fianco, sposta le cose e le cambia di posto. Ma la verità è che il vecchio erano anni che lavorava da solo. Pochi abiti ma fatti alla perfezione. Il più delle volte ordinati da gente facoltosa. Uomini ricchi ma non grossolani, che sanno distinguere il valore delle cose che si portano indosso. E non c’è cosa più bella e importante di un cliente che ritorna! . Queste parole che il sarto dice al ragazzo sembrano cadere nel nulla. Non capisce le sottigliezze il giovane discepolo. C’è però speranza che andando avanti il garzone impari ad apprezzare i suoi consigli ed è bene che lo faccia. Il sarto non ha molto tempo per trasmettergli il mestiere. Ma soprattutto il giovane non sa che lui sta lì per uno scopo ancora più importante. Un angelo l’ha portato in quella bottega. Non sembri strano, è proprio così. Il sarto ha sempre avuto un custode. Ecco la spiegazione: il sarto non riesce a smettere ma inizia a sbagliare anche i vestiti; deve smettere! E non ce la fa a farlo senza trovare qualcuno a cui lasciare la bottega. Senza sapere che il suo lavoro non morirà con lui ma continuerà in qualcuno. Il cielo ha dato all’angelo questo ragazzo con un post scriptum nelle carte d’assegna zione: Si salvino l’un l’altro se ne hanno la voglia. Il sarto non ha avuto figli da sua moglie e perciò non sa trattare con i ragazzi. I discepoli che ha avuto non gli sono stati mai d’aggrado e a nessuno ha insegnato i suoi trucchi. Adesso spera in cuor suo in questo ragazzo. Ma il giovane non mostra troppo interesse. L’angelo deve rispettare le regole, non può intervenire. Si sforza pertanto di creare l’atmosfera giusta con la sua presenza. E, finalmente, un giorno il ragazzo fa una domanda: Signor Eugenio – che sarebbe il nome del sarto -, mi potrebbe insegnare qualcosa? Mi sono stancato di guardare solo. Il sarto, senza dare a vederlo, si commuove. Tutta la pazienza che non ha mai usato con nessuno è pronta e con essa una lunga penitenza. Il ragazzo non ha gran talento, e sì che in passato c’è n’erano stati giovani che promettevano bene a cui avrebbe potuto insegnare. Ma allora il sarto non ci voleva perdere tempo. Allora filo, ago e pazienza, questi saranno i suoi ultimi vestiti. Il ragazzo per conto suo, cresciuto con i video games deve faticare per trovar gusto nelle stoffe che ancora stenta a riconoscere l’una dall’altra. E poi il vecchio spesso ripete cose già raccontate. Storie di vestiti e aneddoti del mestiere. Lo fa per tramandare oltre alla tecnica l’amore per il lavoro. Il giovane non sa quanto gli gioveranno queste noiose ripetizioni. Non sa in particolare quanto giovano al sarto che ha la sensazione che la sua vita d’artigiano non sta morendo con lui. Arriva il giorno che il sarto non si alza più dal suo letto. L’angelo è libero di tornare in cielo, ma prima vuole passare un attimo dal negozio dove ha vegliato per tanti anni sul sarto. Vede il giovane che, ancora ignaro della morte del suo maestro, alza la serranda ed entra in negozio. Lo segue ancora un po’… Il ragazzo ha cucito il suo primo vestito. Come si usa fra gli apprendisti, il primo vestito lo si cuce per il padrone. Il ragazzo va verso il manichino sul quale è appeso il vestito. Non gli resta che togliere l’imbastitura. Ha lasciato questo dettaglio per oggi. Come per gustare fino alle ultime bollicine il sapore del primo bicchiere di champagne. Non sa che il suo primo vestito è l’ultimo del suo padrone. A cura di Giovanni Avogadri e Stefano Redaelli I contributi devono essere inviati a scrittura@cittanuova.it