Il salvataggio dell’Alitalia
Esiste una regola secondo cui la produttività di una azienda è inversamente proporzionale alla dimensione della sua sede: quella massiccia presenza rosso mattone degli uffici Alitalia, incombenti sullo svincolo dal raccordo anulare verso l’aeroporto di Fiumicino, ne è una ulteriore conferma. Adesso quegli uffici supergalattici sono in vendita, e chissà se a qualche azienda piacerà andare a lavorare così fuori mano. Dopo il salasso di oltre 2000 addetti di terra praticato dallo specialista in rianimazioni economiche ing. Cimoli, in effetti uffici così grandi non hanno più senso. La cura Cimoli ha ridotto anche la consistenza degli equipaggi in volo, adeguandola a quella adottata dalle altre compagnie. Così nei viaggi brevi avremo due piloti anziché tre (non mi ero mai accorto che ve ne fossero tre) ed anche una hostess di meno. Nelle ampie sale degli aeroporti di Fiumicino e di Malpensa, in cui ci si accalca ansiosi nelle caotiche file dei controlli antiterrorismo, sempre a rischio di perdere il volo, d’ora in avanti vedremo sfilare un numero minore di hostess di terra Alitalia, quelle che incedevano regali e serafiche nelle divise griffate della nobile compagnia di bandiera, a volte concedendosi a spiegare al popolo bue dei viaggiatori la causa inevitabile dei ritardi dei voli: magari per indisponibilità dell’equipaggio , che a volte voleva dire che il pilota non aveva sentito la sveglia. Quello che mi sembra scioccante è che adesso, grazie al mago Cimoli, con oltre quattromila impiegati di meno, l’Alitalia aumenterà addirittura i suoi voli e servizi riducendo i costi di circa 300 milioni di euro all’anno! Ma come si spendevano i denari? L’accordo con i 1300 piloti, siglato quando ormai i topi lasciavano la nave che stava per affondare, ha prodotto un risparmio di ben 52 milioni di euro all’anno: in altre parole, ogni pilota, anche aumentando le sue ore di volo, oggi costa alla società 40 mila euro in meno all’anno, 80 milioni delle vecchie lire in meno! Come mai? Perché, avrà solo un mese di ferie, perché si dovrà pagare (come tutti noi) la pensione integrativa, dovrà avere residenza vicino al posto di lavoro, per molti a Milano e non a Roma, e quindi non potrà più addebitare alla compagnia come ore di lavoro il tempo necessario ad andare a lavorare: come capita a tutti i lavoratori! Privilegi costosissimi, spesso colpevoli anche dei ritardi nei voli, che insieme a molti altri consolidatisi negli anni hanno fatto affondare la società: per fortuna adesso, grazie all’esser parte dell’Europa, non è più possibile come in passato, per evitare concorrenza sleale, che le perdite aziendali vengano coperte dallo stato, cioè da tutti noi. Ma quella gestione Alitalia non pesava solo sullo stato, a pagarne le spese era tutto il comparto produttivo italiano, che era obbligato a pagare tariffe altissime per i voli nazionali nei giorni di lavoro: prezzi da vero scandalo, possibili perché, per sostenere la compagnia di bandiera, veniva impedita la concorrenza: un volo diretto andata e ritorno da Milano a Roma in giorni lavorativi costava quasi quanto una settimana sul Mar Rosso in alberghi a cinque stelle! Per fortuna grazie all’Europa (non ci rendiamo mai conto abbastanza quanto serve farne parte) negli ultimi anni non è stato più possibile impedire la concorrenza sulle rotte nazionali e l’Alitalia ha perso in pochi mesi una quota notevolissima dei suoi clienti. Anche adesso che prova a competere, non ne sembra ancora capace: in questi giorni il suo ufficio promozioni mi ha candidamente comunicato che un viaggio da Genova a Roma costava 150 euro, ma lo stesso viaggio, se comprendeva anche il ritorno, costava 100 euro! C’è chi dice che l’Alitalia va male perché è statale, occorre privatizzarla: a parte il fatto che nessuno la comprerà, se produce solo perdite, gli accordi sindacali ottenuti dall’ing. Cimoli dimostrano che non è un problema di pubblico o privato, ma di chi gestisce l’azienda. I manager pubblici sanno essere bravi almeno come gli altri, se vengono scelti in base alla competenza e non alle loro amicizie politiche, che poi vanno ripagate con favori che si trasformano ancora in costi aziendali. Nel caso Alitalia la situazione era così drammatica che non era più possibile pensare a farla gestire da amici degli amici… e si è premiata la competenza. Chissà che questo non possa diventare una regola ed anche un vantaggio elettorale per i politici che dimostrano di agire così, evitando di regalare ai privati le aziende che svolgendo un servizio pubblico, come nel campo dei trasporti, è bene che rimangano pubbliche. Così non si ripeterebbero gli errori delle privatizzazioni ad ogni costo, che oggi stanno affliggendo ad esempio l’Inghilterra.