Il saggio della tolleranza
Il teatro, per Peter Brook, esiste per rimettere in discussione ogni convinzione di comodo. Il suo ha raggiunto la semplicità. Nel senso della comunicazione. Trasmette un insegnamento, offrendolo con mezzi e parole essenziali, al limite del didascalico. Ma efficace. La sua pratica scenica degli ultimi anni non ha i ritmi drammaturgici e le modalità del teatro occidentale, bensì quella delle tradizioni orali e narrative di altre radici culturali. L’Africa, per esempio, nella quale ha esplorato storie tuttora nostre contemporanee. Per l’ottantenne regista anglofrancese, il teatro, per coinvolgerci, deve essere molto vicino alle nostre vite, ma per catturare la nostra immaginazione, i suoi elementi devono essere sempre vitali e inattesi. Come nella storia di Tierno Bokar. Maestro sufi, che non amava essere chiamato tale, vissuto agli inizi del Novecento in un villaggio del Mali animista impregnato d’Islam e scosso dal colonialismo, Bokar dedicò tutta la vita alla contemplazione di Dio e alla cura dei suoi allievi. Fra questi lo scrittore Amadou Hampaté Bâ che con Il saggio di Bandiagara ci ha trasmesso i suoi insegnamenti, straordinariamente attuali. Apologo sulla tolleranza, sul rispetto e l’ascolto dell’altro, sulla bontà e la giustizia, il testo pone domande forti su Dio (Egli è l’imbarazzo delle intelligenze umane, che sfugge ad ogni definizione), sulla verità (Esistono tre verità: la mia, la tua, e la Verità), sull’origine del male nel cuore dell’uomo che crea odi e guerre. Quella che nasce nella comunità del sufi ha origine da un piccolo diverbio su quante volte, nella formula di undici o dodici grani, debba essere recitata una preghiera rituale. Sorgono conflitti tribali che generano massacri e martirio, non ultimo quello del giusto e santo Bokar. Per le sue parole che insegnano l’amore e la virtù, e a superare le dispute umane e le differenze religiose, verrà allontanato, isolato e segregato, fino a morire. Una grande stuoia con tappeti e al centro un albero stilizzato bastano a ricavare scene ed eventi che vengono raccontati o evocati dai dialoghi dei dieci interpreti multietnici. E pur se a tratti sembra calare l’attenzione davanti ad un allestimento poco coinvolgente per i nostri palati, si esce ponendosi domande che ci riguardano. Proprio come auspica Brook