Il saggio del Mali
Se agli inizi del Novecento gli europei colonizzatori di quello che allora veniva chiamato Sudan francese (l’odierno Mali) non avessero strappato un bambino di etnia fulbe dal suo contesto sociale per avviarlo agli studi, imponendogli di imparare la loro lingua, oggi non avremmo la grande fortuna di conoscere il meglio della letteratura orale africana, così ricca di valori universali e di una visione originale del mondo. L’impatto con l’occidente, infatti, portava con sé i germi della disgregazione delle culture tradizionali, e questo immenso patrimonio sarebbe fatalmente scomparso se qualcuno non si fosse preso la briga di trascrivere le testimonianze, i canti, i poemi e le storie dei maestri di parola e dei griot, l’equivalente degli aedi greci e dei trovatori francesi. Questo qualcuno è stato dopo i missionari dell’epoca coloniale e prima di qualunque altro africano Amadou Hampâté Bâ, quel ragazzino fulbe divenuto in seguito personalità di primo piano nel campo letterario e scientifico, nonché diplomatico. Egli nasce verso il 1900 a Bandiagara, nella regione dell’antico impero peul-musulmano del Macina, da una nobile famiglia. Qui, nella locale scuola coranica, ha luogo l’esperienza decisiva della sua vita, l’incontro con Tierno Bokar, uomo tra i più puri e saggi che il Continente nero abbia mai generato e gran maestro di dottrina islamica. Funzionario dell’amministrazione coloniale francese dal 1922 al 1942, egli fonderà l’Istituto di scienze umane di Bamako (Mali) e, insieme a Boubou Hama del Niger, il Centro regionale di documentazione per la tradizione orale di Niamey, consacrandosi alla salvaguardia delle culture africane orali, soprattutto quelle peul-tekrur e bambara del suo paese d’origine. Membro del Consiglio esecutivo dell’Unesco, dal ’62 al ’66 esercita le funzioni di ambasciatore del Mali in Costa d’Avorio. Dal 1970, libero da cariche e impegni ufficiali, può dedicarsi fino alla morte, avvenuta ad Abidjan nel 1991, esclusivamente alla creazione di un archivio che raccolga le ricchezze culturali dei popoli africani. Ad una esistenza così lunga e operosa corrisponde una produzione letteraria imponente, in cui ha un posto speciale la rielaborazione di favole e racconti tradizionali, vera miniera di saggezza pur divertendo. «Entrare in una favola era solito affermare è un po’ come entrare all’interno di sé stessi. Una favola è uno specchio in cui ognuno può scoprire la propria immagine». Senza mancare di citare almeno un magistrale romanzo tradotto in italiano qualche anno fa, L’interprete briccone, vorrei soffermarmi su due perle di recente pubblicazione. In Amkoullel il bambino fulbe (Ibis) Hampâté Bâ narra i primi quindici anni della sua vita. Soprannominato Amkoullel in onore di uno dei suoi maestri, il piccolo Amadou si appassiona alle narrazioni delle grandi imprese del passato e alle spiegazioni dei segreti della natura; tanto da ripetere ai suoi coetanei i racconti e i canti uditi la sera nel cortile della casa materna. Già s’intravede quella che sarà la missione di una vita; ma per arrivarci, dovrà sperimentare lo sradicamento dal proprio mondo e l’assimilazione in un’altra cultura, quella francese. Grandeggiano in questa autobiografia postuma, che è insieme romanzo, saga familiare, saggio sugli usi e costumi delle popolazioni della savana del medio corso del Niger, le figure dei genitori, la cui statura morale li rende degni di essere accostati a certi personaggi della biblici. Tra saggezza ed ironia, nobiltà e tolleranza, coniugando armoniosamente il retaggio orale della sua gente con la tradizione scritta islamica ed europea, Hampaté Ba ci ha regalato uno dei capolavori letterari del Novecento. Al suo maestro spirituale Tierno Bokar ha dedicato, invece, Il saggio di Bandiagara (Neri Pozza): commovente omaggio ad un uomo che, per aver cercato solo la Verità, morì perseguitato dalla sua stessa gente. Uno il cui amore per gli uomini «si spingeva ben oltre il suo gruppo confessionale, estendendosi all’insieme del genere umano e, anzi, superando anche questo per abbracciare l’intero creato, fino alle più umili creature di Dio». Intriso del suo messaggio universale, il libro esalta inoltre la sacralità della parola, per Bokar «il dono più grande che Dio abbia fatto a una sua creatura» ed espressione della stessa Parola creatrice, sul cui uso buono o cattivo occorre costantemente vigilare. Sulle orme di tanto maestro, Hampaté Ba è stato non solo scrittore, etnologo, storico ed anche poeta, ma innanzitutto un uomo che ha sempre avuto di mira la tolleranza e il rispetto per gli altri. «La cosa più importante della vita è la mutua comprensione», amava infatti ripetere. Musulmano, suo obiettivo costante è stato quello di contribuire al dialogo con le altre fedi all’insegna di un ecumenismo «senza vincitori né vinti»: «Nell’incontrare un credente si tratti del mio fratello cristiano, ebreo, buddhista o delle religioni tradizionali il mio ruolo è anzitutto quello di mettermi in ascolto. È tempo, io credo, di dimenticare le nostre divergenze per scoprire un terreno di valori comuni e cercare di costruire, su questa base, quella che potrebbe essere la società religiosa di domani. Ma attenzione! Non si tratta di realizzare una qualche specie di sincretismo, una più o meno vaga mescolanza di forme e figure religiose, che d’altronde resterebbe inoperante. Ognuno deve conservare la propria identità e accedere a Dio seguendo la via che gli è propria, con le specifiche energie spirituali di cui essa è portatrice. Se una sola è la vetta in cima al monte, diverse sono le vie per raggiungerla».