Il ruolo dell’Occidente nei conflitti internazionali

Continua l’approfondimento con il professor Vincenzo Buonuomo, docente di diritto internazionale all’Università lateranense di Roma, sulle posizioni dell’Europa, degli Stati Uniti e dell’Onu negli attuali scenari di guerra. Quanto le scelte economiche incidono sui progetti politici? Quanto le missioni delle Nazioni Unite sono libere dagli Stati?
Un soldato israeliano

Il professor Vincenzo Buonomo, docente di diritto internazionale all’Università lateranense e esperto della rappresentanza vaticana presso la Fao, preferisce esaminare da giurista le posizioni e le scelte degli Stati occidentali negli attuali scenari di guerra. Lascia ad altri esperti le valutazioni e strategie politiche ma non si esime dall’offrire spunti di lavoro in grado di sciogliere nodi e questioni decennali che contrappongono i popoli del medi oriente e quelli dell’est Europa

Professor Buonomo nella sua precedente intervista sulle ragioni del terzo conflitto mondiale ha sottolineato la presenza di attori internazionali non originari dai territori in cui si sta combattendo. Quali sono le ragioni di questa presenza?

«Occorre precisare che l’area del Medioriente è stata da sempre oggetto di attenzioni di potenze esterne nel corso della sua storia e ognuna di queste potenze portava avanti un interesse specifico. Nel momento in cui si è aperto un conflitto nell’area della Terra santa tra israeliani e palestinesi, assistiamo ad alcuni fatti di rilievo. Ad esempio riprende quota la presenza egiziana come Paese terzo, rispetto ai due contendenti e al contempo assistiamo al rilancio del progetto di ampliamento del canale di Suez per garantire una via commerciale più ampia, anzi doppia, che dall’Oriente arriva all’area del Mediterraneo e questo è certamente un interesse non limitabile all’Egitto ma che attira anche l’Europa».

La traversata del Mediterraneo di migliaia di profughi in cerca di un nuovo futuro in Europa non è elemento da sottovalutare in questa crisi dell’area mediorientale…

«La mobilità umana collegata ai conflitti sta diventando sempre più rilevante e, a mio parere, non viene presa in considerazione in modo adeguato. E’ in atto un cambiamento sostanziale nella composizione etnica, culturale e religiosa del tessuto europeo. Noi guardiamo solo ai barconi che arrivano dal Mediterraneo perché siamo emotivamente coinvolti, ma c’è una pressione sulle frontiere europee dalle aree di crisi, più varie, che fanno presupporre uno spostamento di popolazione enorme e quindi nel giro di dieci anni vedremo un forte cambiamento nella struttura sociale e nella composizione dell’Europa e a questo bisogna preparararsi».

Come legge l’immobilismo decisionale dell’Occidente nei confronti di questi conflitti?

«Ci sono tanti interessi ma non si persegue una linea unitaria. Siamo davanti ad un momento della storia davanti a cui ci siamo trovati tante volte. Ad esempio nel XIX secolo la Francia che aveva interesse nell’Oriente di fronte ad una situazione come quella di oggi avrebbe mandato le sue forze militare per garantire gli interessi francesi in quell’area: oggi una cosa del genere non avviene più e neanche chi potrebbe farlo, di fatto, non è pronto ad un intervento di questo genere, ma le conseguenze ci sono comunque. Senza voler valutare con il senno di poi o accusare ma certamente la destabilizzazione di Paesi come l’Iraq e la Libia e l’immobilismo con cui è stata accolta la destabilizzazione, nell’ultimo anno e mezzo, della Siria non sono certamente cause secondarie nell’attuale situazione che stiamo vivendo con l’Isis. In ciò che è avvenuto in questi tre contesti c’è una forte  responsabilità del mondo occidentale che in quest’area è intervenuto per garantire propri interessi  e che oggi è immobile o pensa di risolvere la questione utilizzando quegli stessi poteri e quelle stesse forze che sono state combattute negli ultimi dieci anni».

Nella ricerca dei capri espiatori ci sono in ordine gli Stati Uniti e poi l’Onu. Cosa ne pensa?

«Faccio un’analisi giuridica e non politica. Il problema non sono solo gli Stati Uniti, perché dietro ai loro interessi sono stati convogliati anche gli interessi europei e questo sia nel 2003 con l’intervento in Iraq che nella questione libica. Spesso si parte dalla decisione dell’Onu di intervenire per proteggere la popolazione civile e da qui si arriva a destabilizzare totalmente un Paese: bisogna stare allerta e capire quale ruolo gli Stati fanno giocare alle Nazioni unite L’Onu rischia di muoversi non seguendo i parametri propri dell’Onu ma le volontà dei paesi che ne fanno parte. La dimostrazione è che nessuno ad esempio sta parlando dei caschi blu che proteggono il confine tra Israele e Siria nella zona del Golan, ostaggio di gruppi fondamentalisti. Sono disarmati e stanno lì dal 1967 e solo qualche scarna notizia è stata data a riguardo, mentre degli altri Paesi in gioco si parla continuamente».

Cosa dovrebbe fare allora l’Onu?

«La funzione dell’Onu è quella di garantire che non ci siano scontri armati, invece chiediamo all’Onu di essere gendarme e assumersi una responsabilità che non dovrebbe avere, almeno per come è configurata oggi. Oggi rischiamo che accada di mettere in piedi un intervento dell’Onu per giustificare altro, come nel caso libico e nella deposizione di Gheddafi, dove le Nazioni Unite avevano autorizzato ad intervenire nella Cirenaica e le forze implicate hanno, invece, bombardato Tripoli, località non prevista dalla disposizione. Il rischio resta quello di utilizzare l’Onu per fare gli interessi di alcune nazioni».

Quale lettura da della situazione ucraina?

«Bisogna prendere atto che abbiamo uno stato di preallarme della Nato per quanto riguarda la questione dell’Ucraina e che l’Europa non è esente da un conflitto ma di questo si parla in maniera blanda, quasi a volerlo esorcizzare, quando di fatto in quelle terre, il conflitto c’è. Lo sconfinamento delle truppe russe in territorio ucraino c’è stato e non è qualcosa che deve avvenire. Tanti cominceranno a rievocare l’invasione tedesca della Polonia, l’immagine del confine violato con tranquillità, come nella seconda guerra mondiale: l’Europa nella sua storia ha vissuto tante di queste vicissitudini ma ora, come nel caso ucranino, ne vanno ben comprese le conseguenze. In Ucraina abbiamo la presenza di forze militari di un altro stato: questo è un dato acquisito. In questo momento però siamo tutti fermi. Perché? La risposta è ancora una domanda: se il prossimo inverno sarà freddo potrò contare, a seguito di una guerra, sul gas che mi arriva dall’Est europeo? Non è banalizzare un conflitto, ma è realismo e purtroppo è un realismo senza profezia al contrario di quanto dice il papa».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons